sabato 2 ottobre 2010

Il piatto forte!

Loooong time ago, promisi di dedicare qualche altro post alle strategie di insegnamento in voga in UK. Come vi spiegavo (con il tono di chi la sa lunga!) la lezione preferita dall’Ofsted (l’orrido ufficio ispettivo) e raccomandata agli apprendisti prof. è normalmente divisa in tre (almeno) parti: lo starter, la “main” e la plenary. Vi dicevo in quella circostanza che, per quanto questa struttura sia a volte trattata come un feticcio, io la trovo molto utile come base di partenza. In quest’ultimo anno ho insegnato soprattutto alla Sixth Form, ragazzi di quasi 18 anni che fanno corsi pre-universitari, che in qualche modo hanno “scelto” di essere lì e spesso hanno bisogno di voti alti o almeno decenti per essere ammessi nell’Università dove hanno fatto domanda. Beh, anche con loro, a parte qualche volta, non posso permettermi di parlare tutta l’ora. Semplicemente non funziona, il messaggio non arriva come dovrebbe. O, almeno, c’è modo di farlo arrivare meglio. Continua... Bene, una volta che (sperabilmente) i piccoli omicidi hanno superato lo starter, si sono ambientati nella classe e hanno accettato l’idea di trascorrere la prossima ora in tua compagnia… beh, adesso è il caso di INSEGNARGLI qualcosa, magari! A tale scopo, dobbiamo cucinare un “piatto forte” che sia gustoso, o almeno non disgustoso, che sia masticabile e che non si piazzi troppo sullo stomaco. Può essere una sola attività molto strutturata, ma io uso più spesso una sequenza di due o tre attività connesse l’una con l’altra. L’idea di fondo è che, almeno per un terzo della lezione (sui 20 minuti, se la lezione è di un’ora) i bambini cannibali – o i 17enni ormonali sempre sull’orlo di una crisi di riso irrefrenabile o di una disputa ideologico-religioso-esistenziale – lavorino attivamente e indipendentemente, da soli o in gruppo, per appropriarsi dei contenuti della lezione. A seconda della materia che insegni, del tuo stile e dei tuoi alunni, quest’idea ti sembrerà senso comune o pura utopia. Dunque, i problemi sono due. Uno è decidere come portare i ragazzi a questa situazione di lavoro “attivo & indipendente”. In molte materie (tipo quelle che insegno io: Scienze e Chimica) per affrontare un’attività su un argomento nuovo i ragazzi hanno bisogno di informazioni. Queste possono essere date con una classica spiegazione dalla lavagna o da altro punto della classe, oppure con un video, oppure con un’attività comune che si focalizzi (per esempio) sul “mettere ordine” in un insieme di parole e/o immagini mostrate sulla lavagna. A me piacciono anche le attività “cinestetiche” in cui parte della classe o (meglio) tutta la classe “recita” un particolare processo biologico o chimico seguendo istruzioni date da me o (anche meglio) da qualcuno di loro. Anche processi di approccio al nuovo contenuto sotto forma di gioco possono funzionare bene (tipo, in gruppi si deve ri-disegnare un diagramma complesso che i membri del gruppo hanno visto solo 10 secondi ciascuno). Alcuni insegnanti, tipo il mio collega di musica, tendono a buttare subito in pista i ragazzi nel lavoro indipendente, dando loro solo le istruzioni essenziali per lavorare in gruppo. Questo, che può sembrare troppo facile o troppo difficile, presuppone che all’inizio dell’anno i ragazzi apprendano una serie di routines e una serie di criteri con cui il loro lavoro sarà valutato. Il mio amico riesce a farlo funzionare molto bene grazie alla sua tirannica disciplina e alla qualità delle linee risorse scritte che fornisce (bisogna anche dire che viene a scuola il sabato e la festa per prepararle, a volte, cosa non consigliabile). Il secondo problema è prevedere quale/i attività i ragazzi dovranno affrontare “da soli”. E’ importante che esse non siano fuori portata (“Cosa sono questi numeretti del xxxx? Se lancio palline di carta impregnate di saliva e muco appiccicoso nel collo di Ed, sarà sicuramente un modo migliore di passare l’ora…”) o troppo semplice (“Che è ‘sta domandina? Mr Mafia mi ha forse preso per una poppante? Quale onta! Adesso gli faccio vedere che NON lo sono improvvisando una sessione di sesso acrobatico con Jamie…”). E’ anche opportuno variare il tipo di attività (“UN ALTRO POSTER???? Ma cosa ci fa questo pervertito con i nostri poster? Mi vedo costretto a fargli presente che con questa carta da pacchi mi ci pulisco il xxxx.”) Scherzi a parte, ma neanche troppo, il mio ideale è di focalizzare ogni lezione su un’attività che coinvolga, che costringa a pensare, che costruisca qualcosa di nuovo nel loro cervello (e a volte nel loro cuore!) e possibilmente li faccia interagire fra di loro, almeno per parte del tempo. In Scienze la main può anche essere un esperimento seguito da relazione o discussione. In questo caso la parte introduttiva consisterà nelle istruzioni. Fin dai tirocini del mio PGCE, mi sono abituato a dare le mie istruzioni tramite diversi canali. Per esempio, sono sulla lavagna e le dimostro gestualmente una per una prima di cominciare. Oppure sono in un foglio e ogni tre minuti do l’istruzione di passare al punto successivo. Questo in realtà è un buon criterio per qualunque spiegazione, anche concettuale. Più stimoli si usano (parole, immagini, gesti etc.) più è verosimile che ognuno capisca qualcosa. A volte, fra la prima e la seconda parte della main, si mette una “mini plenary”. Lo scopo di una “plenary” come vedremo nel post dedicato, è di vedere se i ragazzi hanno raggiunto gli obiettivi della lezione (e di farlo capire anche a loro!) Mettere una piccola plenary subito prima di farli lavorare da soli aiuta a capire se hanno agguantato le informazioni di cui hanno bisogno per lavorare da soli. Perché il tutto non sembri troppo astratto, vi elenco una serie di modi che ho usato varie volte per strutturare la main. - Videoclip con domande, esercizi scritti da completare, seconda parte del video con il compito di generare loro stessi delle domande a partire dal video. - Parole alla rinfusa che loro devono assemblare in una mappa concettuale, trascrivere e completare (a modo loro) questa mappa nel loro quaderno, 30 sec challenge in cui, a turno, devono parlare per 30 secondi senza interrompersi “traducendo” in discorso la mappa che hanno elaborato. - Ognuno approfondisce un determinato aspetto dell’argomento e poi deve spiegarlo alla classe, preparando anche delle domande per controllare che abbiano capito. C’è anche la variante “jigsaw” (puzzle) che mi piace molto. Qui, si fanno tre o quattro “focus groups” che studiano insieme un aspetto dell’argomento. Poi si rimescolano i gruppi e, nel nuovo gruppo, ognuno contribuisce per l’aspetto che ha approfondito. - Role play che faccia divertire e sfogare, domande di esame svolte in silenzio, scambiarsi il lavoro e correggerlo a vicenda. - Esperimento svolto da me, foglio con domande ed esercizi, esperimento che i ragazzi fanno in prima persona. - Etc. etc. etc. In genere mi piace cercare di animare anche le cose che potrebbero sembrare più noiose. Per esempio, il semplice leggere ad alta voce dal libro può essere fatto ognuno con un accento diverso, o con un’emozione diversa (pure se si tratta del legame chimico covalente, anzi: l’effetto comico è garantito). Viste le mie classi multietniche, a volte ho azzardato che si leggeva ognuno nella propria lingua di origine e gli altri dovevano indovinare in quale punto della pagina si stava leggendo (se è Francese ancora ancora, ma quando leggono in Urdu cominciano i guai!) Riassumendo, la main part di una lezione come la intendono qui è quella dove si trasmettono i contenuti. A torto o a ragione, si pensa che i ragazzi apprendono meglio se hanno modo di sperimentare in proprio con questi contenuti attraverso esercizi o altre attività. Quindi in genere si inserirà almeno un episodio di lavoro “indipendente” nella main. Personalmente, ci sono ancora occasioni in cui parlo per il grosso del tempo, magari inframezzando con domande, battute, siparietti da clown tanto per tenere viva l’attenzione. Tuttavia, il modello dell’independent work, preso flessibilmente e criticamente, mi ha aiutato a migliorare di molto la mia pratica in classe e ad aumentare le possibilità che i ragazzi imparino e (almeno a volte) si divertano. Come faccio a sapere se “ha funzionato”? Questo è il compito della PLENARY che descriverò in un altro post, possibilmente non fra un anno.

lunedì 31 maggio 2010

PGCE per Italiani I - Dove faccio domanda?

Meglio tardi che mai, inizio a postare un po' di informazioni ulteriori per i lettori (parecchi) che considerano un PGCE o stanno nel processo di ammissione. Il modo in cui fare domanda è descritto nel visitatissimo post "Come si fa ad insegnare in Inghilterra?" Qui aggiungo un po' di suggerimenti e osservazioni presi soprattutto dalle esperienze di altri che ci hanno provato o ci stanno provando e che sono in contatto con me, a beneficio di chiunque sia interesato. Consiglio di ordinare al bancone una pinta di Guinness o di Real Ale e di centellinarla pian piano onde mantenersi lucidi & concentrati...

Parlando con altri poveri emigranti che si apprestano a fare il mio stesso percorso, mi sono reso conto di essere stato abbastanza fortunato per il trattamento che ho ricevuto dall'Università di York dove ho fatto il mio PGCE. Nel processo di ammissione, York mi ha risparmiato una serie di ostacoli e rigidità più o meno inutili che invece si possono incontrare in altre università. Faccio una serie di esempi:

  • L'Università X ti impone un test di Matematica durante l'interview anche se hai il livello GCSE riconosciuto, ti candidi a insegnare Lingue e comunque dovrai passare il Numeracy Skill test durante il corso.
  • L'Università Y continua a chiederti quali sono i tuoi A level dopo che gli hai detto cento volte che in Italia l'A level non esiste ma c'è un voto di maturità complessivo. In questo botta e risposta ti fanno sprecare mesi e mesi e alla fine non ti invitano per l'interview.
  • L'Università Y prima ti invita per l'interview, poi cerca di scoraggiarti in tutti i modi dicendo che sarà difficilissimo, l'anno peggiore della tua vita, etc. etc.
  • L'Università Z, senza averlo chiarito sul proprio sito, pone come condizione imprescindibile che tu faccia una settimana di observation in una scuola, è tardi e nessuna scuola ti vuole e tu sprechi altro tempo prezioso a scrivere centinaia di mail implorando che qualche scuola ti prenda.
  • L'Università Q, dopo averti ammesso in modo "unconditional", si sveglia che devi fare l'equivalency test per il GCSE in Inglese anche se hai una laurea in Inglese! In questo caso, l'Università ha poi cambiato idea, a onor del vero.

Insomma, alcune Università possono essere gratuitamente fetenti con noi poveri prof. immigrati dal sud d'Europa (del mondo?), soprattutto sui titoli di studio e su altri criteri e modalità di ammissione. Sui titoli di studio, c'è anche da dire che l'istituzione Inglese preposta al riconoscimento (il NARIC) spesso valuta i titoli in modo particolarmente tirchio, tirando a riconoscere il meno possibile. (Altrettanto, ahimè, mi hanno detto che può succedere in Italia con i titoli Inglesi: bella integrazione europea!) Ergo, se l'Università non usa il buon senso, non sarà il NARIC ad aiutarvi o a supportare le tue richieste, per quanto teoricamente giuste.

Tutto ciò rende cruciale la scelta di quali Università includere nelle quattro preferenze a tua disposizione. Ma come si fa a scegliere in maniera tale da prevenire malintesi, estenuanti negoziati & conseguenti crisi di nervi e di vocazione (all’insegnamento)?

Ho già scritto che è importante prendere contatti informali con le Università prima di includerle nella vostra rosa di preferenze. Non insisterò mai abbastanza sul fatto che prima di completare la tua domanda sul sito del gttr dovresti mandare una mail alle varie Università che offrono il vostro corso e non includere fra le vostre scelte nessuna Università che non ti abbia risposto in maniera incoraggiante.

Adesso aggiungo qualche suggerimento più specifico.

  • Innanzitutto, nella tua prima mail ad un'Università che offre il corso che ti interessa, chiarisci molto bene che hai un titolo di scuola secondaria italiani che non è completamente sovrapponibili con quelli inglesi.
  • Caso mai, in una seconda mail, specifica che i nostri titoli di scuola media e di scuola superiore sono il risultato di una valutazione complessiva e non c'è un voto legale specifico per materia (subject specific) e che studiamo più materie fino alla fine della scuola secondaria.
  • Chiedi chiaramente e direttamente se loro sarebbero disposti a considerare la tua application dati i titoli che tu hai, e a che condizioni (se vogliono un equivalency test, se lo offrono loro, se accettano quello fatto con la Equivalency Testing etc.) Stressa il fatto che hai bisogno di sapere il più presto possibile se i tuoi titoli (qualifications) sarebbero un problema per non mettere a rischio la tua ammissione in altri corsi.
  • Se non ottieni risposte chiare sulla questione dei GCSE, scegli soltanto università che ti offrano la possibilità di svolgere un equivalency test in English, Maths o entrambi.
  • Chiedi una descrizione puntuale del processo dell'interview: le cose che ti si chiederà, le prove che dovrai superare etc. Questo ti metterà in grado, sia pure in maniera imperfetta, di confrontare le differenti università e di capire se in un certo posto alcuni punti dell'interview sarebbero particolarmente ostici per te.
  • Chiedi se ci sono requisiti particolari per essere considerati e fai riferimento specifico all'observation a scuola. Chiedi se è indifferente, se è necessario o se è un fattore di preferenza ma non indispensabile.

Queste risposte dovrebbero metterti al riparo da brutte sorprese, o almeno prevenirne alcune. Magari qualche università non ti darà queste informazioni in tempo utile, ma se scrivi a molti ci sono buone probabilità che almeno tre o quattro che ti rispondano cose precise ed incoraggianti, così inserirai quelle nella tua application. Per scegliere la preferenza, regolati con l’impressione che ti fanno i loro programmi pubblicizzati sul sito, su dove ti piacerebbe di più vivere (io consiglio sempre i campus rispetto alle università cittadine), su quanto ti sembra facile o difficile l’interview etc. Non includere fra le tue preferenze nessuna università con cui non hai chiarito questi punti: rischi di perdere tempo.

In più, chi sta progettando quest'avventura adesso forse punta ad essere ammesso a settembre 2011 piuttosto che a settembre 2010. In questo caso:

  • Inizia tutto il processo il più presto possibile, in modo da avere le tue risposte e fare le tue scelte entro Ottobre prossimo.
  • Accordati ora con una o più scuole per qualche giorno di observation il prossimo autunno (ottobre o novembre). Da Dicembre in poi, molte scuole sono incasinate per esami, pagelle etc. ma la prima parte dell'anno scolastico è ragionevolmente tranquilla, quindi è quella in cui è più consigliabile chiedere ad una scuola il favore di accoglierti. Se sei in vacanza (o meglio, disoccupato dopo la fine dell’anno scolastico) può valere la pena di chiedere anche per il prossimo periodo (fine anno scolastico, da qui al 20 Luglio). Che è pure un periodo relativamente scarico.
  • Se il tuo corso di laurea e in genere di studi ti permette di offrire più cose (per esempio più lingue), comincia adesso a ripassare in modo da essere in grado di giocarti tutto quello che ragionevolmente puoi offrire (tipo, due lingue invece di una o tre invece di due). Lo stesso per Scienze: in questo caso considera che anche se sei Biologo si aspetteranno che tu insegni un po’ di Fisica e Chimica fino al GCSE, e viceversa.

Mi pare che ci questo sia tutto, sull'argomento. Presto aggiungerò un post sulle difficoltà del PGCE e, in genere, della scuola Inglese e su come prevenirle.

Keep in touch!

giovedì 28 gennaio 2010

Chi fa gli esami???

Gli esami non finiscono mai…

Sara che sono il solito sentimentale unprofessional, ma gli esami dei ragazzi mi stressano (quasi) come fossero i miei. Dico sempre che il primo anno che insegnavo è stata la mia seconda maturità, visto che i marmocchi (cresciutelli assai) che ho seguito per sette mesi poi me li sono trovati davanti come membro di commissione. Un conflitto di interessi niente male  che in UK non può avvenire e non so se dolermene o rallegrarmene…

Qui, c’è da dire, il coinvolgimento emotivo è anche peggiore perchè nella (spietata) meritocrazia britannica sai che il voto in quell’esame può fare una grossa differenza nel futuro del ragazzo. L’Università che vuole potrebbe non accettarlo con meno del massimo, addirittura la facoltà che vuole potrebbe essergli preclusa quasi dovunque se non prende un certo voto (è così almeno per Medicina). In compenso non c’è nessun conflitto di interessi (o di coscienza) possibile: gli esami glie li fa qualcun altro. A scuola arrivano i test il giorno stesso, tu come insegnante dai una pacca sulle spalle di incoraggiamento e poi devi uscire dall’aula, i ragazzi completano il test in un silenzio di tomba e il test suddetto viene portato a far correggere altrove. Dopo un paio di mesi esce fuori il verdetto...

Chi si occupa di elaborare e correggere gli esami sono le cosiddette “exam boards”, autorità indipendenti preposte alla valutazione ufficiale del livello di preparazione degli studenti. Sono quattro-cinque in tutto il Regno Unito. Quelle diffuse ovunque sono la OCR, la AQA e la Edexcel. In ogni scuola, il singolo Dipartimento (Scienze, Arte, Matematica etc.) sceglie la “specification” da seguire, legata ad una particolare exam board che fornisce il programma e approva i libri di testo. Alcune exam board offrono più di una specification con differenze anche notevoli sull’approccio educativo-didattico. Per Chimica, per esempio, la OCR offre una specification “tradizionale” focalizzata su un insegnamento sistematico e astratto a fianco ad una specification più “sperimentale” (la Salters, sviluppata fra gli altri dalla mia tutor di York) basata sull’aspetto concreto, applicativo, investigativo. Tutte le exam boards rispondono alla QCA (Qualification and Curriculum Authority) che stabilisce i contenuti e i criteri generali di valutazione.

Da un certo punto di vista, confrontato con quello Italiano, questo sistema sembrerebbe perfetto. Pensateci per un momento. Un voto che significa LA STESSA COSA da Torino a Palermo (pardon, da Brighton a Newcastle). Le scuole non possono barare, nessuno può dire “vieni da me che è più facile”. Le scuole private (attenzione!) per attrarre “clienti” devono dimostrare che sono serie e ottengono risultati migliori. I risultati medi ottenuti dalle singole scuole sono a disposizione del pubblico. E, poi, una valutazione che responsabilizza i ragazzi, che sanno che la loro mancanza di impegno può chiudergli certe porte in modo quasi definitivo (possibilità di recupero esistono, ma sono complicate e impegnative, assai più che ripetere un anno o andare fuori corso in Italia).

Sembrerebbe. La perfezione non è di questo mondo e in particolare non sembra albergare nei sistemi scolastici a qualunque latitudine. Dunque, facciamo un po’ le pulci a questo sistema “oggettivo” di valutazione. In questo momento abbiamo buon gioco: la prova della OCR per Biologia A level uscita lunedì scorso conteneva un sacco di cose “extra” rispetto al programma da loro stessi fornito e su facebook sta montando la protesta dei diciottenni (compresi i miei ragazzi).

Punto primo: chi decide i contenuti “importanti”? I programmi ministeriali Italiani sono noti per la loro immutabile rigidezza e anacronismo. Quelli Inglesi sono molto più flessibili e rispondono in tempo reale alle sollecitazioni dei tempi, che significa (anche) alle mode e alla politica. Ti puoi facilmente trovare con un programma mutilato di contenuti importanti, o focalizzato su contenuti banali e noiosi che qualcuno ha deciso “rilevanti per il contesto socio-cultural-etc.”. In questo caso, omunque ci devi stare perchè sono quelle le conoscenze che decideranno del futuro dei ragazzi. Questo, a onor del vero, vale soprattutto per i GCSE (il titolo preso a 16 anni) mentre gli A-level (presi a 18 anni come la nostra maturità) sono più esposti al giudizio delle Università che vogliono costruirci sopra senza dover ricominciare da capo, specie nelle lauree scientifiche.

Punto secondo: cosa è “sufficiente” o “eccellente”? L’output di un test all’Inglese è un numero, una percentuale. Chi decide l’interpretazione di questo risultato. La stessa exam board, che nel farlo è influenzata da una serie di pressioni. Il governo vuole dimostrare che la preparazione dei ragazzi che escono da scuola è in miglioramento, come risultato delle mirabolanti Strategies messe a punto dagli esperti Newlabour. Le Università (specie quelle “top” tipo Oxford e Cambridge) vogliono selezione: solo i migliori dei migliori devono prendere A o A* (nuovo voto venuto fuori per ovviare all’eccesso di A). Se dagli esami escono troppi voti massimi, le Università stesse saranno costrette a spendere una marea di risorse per fare loro stesse la selezione all’ingresso, mentre è molto più comodo se la selezione la fa la scuola (fra l’altro, dicono, questo sarebbe anche il mestiere della scuola stessa). Aggiungiamo i tabloid che AMANO parlare di scuola e alternano ai loro servizi sui maniaci sessuali in cattedra (risultato, attento a come guardi i ragazzi o rischi la denuncia) servizi su come era seria la scuola di una volta in confronto a questi buonisti che regalano il massimo a tutti etc. E se non bastasse, le elezioni si avvicinano…

Punto terzo: solo scritto? Questo è un aspetto meno “contingente” e più insito nella mentalità anglosassone. Emprirismo, dati concreti, criteri certi e trasparenti. Agli occhi di molti, qui, l’esame orale appare 1) sommamente inefficiente per il tempo e le energie richieste 2) spaventosamente soggettivo (una parola che gli Inglesi vedono come il fumo negli occhi, se si tratta di valutazione). Io ho interrogato gente in Italia e somministrato test nell’isola delle nebbie. Devo dire che l’interrogazione, se ben usata, è più accurata nel saggiare l’effettiva comprensione di un concetto. E’ uno strumento adattabile, ogni domanda può essere influenzata dalla risposta precendente e scavare in una determinata direzione. Indubbiamente, i risultati ottenuti sono più soggettivi e meno “comparabili”: ogni esame orale fa storia a sè.

Dunque? Dunque boh! Il carattere stringente (e insieme mutevole e imprevedibile) della valutazione Inglese può dare ai nervi e umiliare il prof. che vorrebbe insegnare cose più “serie” e rilevanti di quelle che si trova nel curriculum. D’altra parte, è così per tutti. Lo sforzo di “imparare a passare l’esame” fornisce uno strumento per confrontare risultati ottenuti in situazioni molto diverse. Il mio sogno sarebbe un integrazione fra giudizio della scuola e valutazione esterna sulla base di criteri stabiliti. Attenzione, neanche questo sarebbe perfetto: qualcuno deve stabilire i criteri, ed è sempre un giudizio opinabile. Tuttavia, penso che in Italia sia l’assenza di criteri condivisi (imposti dall’alto?) a rovinarci. “Mi ha messo 4” o “mi ha messo 8” sono frasi che qui non hanno senso: il ragazzo conosce i criteri (il prof. deve esporglieli chiaramente) e poi dipende da lui.

Ancora boh! Poi, detto fra noi, la valutazione non mi ha mai particolarmente appassionato. Però la storia che quello che diamo non è misurabile (o si misura solo sui grandi numeri e sul lungo perido), ancorchè in parte vera, mi sembra l’alibi perfetto per non rendere mai conto a nessuno. Che è poi quello di cui, in malafede, ci accusano gli smantellatori della scuola.

BOHHHH!!!!!


Read more!