martedì 1 marzo 2011

Scuola pubblica e scuola privata

Leggiucchiando i giornali. Si parla di scuola? Il soggetto, si sa, è un fenomeno carsico. Per qualche giorno occupa pagine e pagine, poi si attenua, si inabissa, riappare inopinatamente, quando meno te lo aspetti. Stesso corso sussultorio per i temi. Dal generale al particolare, dall’aspetto professionale a quello organizzativo, a quello dirimente e totalizzante dei finanziamenti. Oggi la vivacità è garantita dall’intervento, in termini calcistici si direbbe a gamba tesa, nientedimeno che del Presidente del Consiglio. Il tema: scuola pubblica e scuola privata. O meglio, scuola di Stato e scuola “libera”...

Era da qualche tempo che non se aveva notizia in pubblici dibattiti salvo che per le periodiche assicurazioni del Governo che, risparmi o non risparmi, i finanziamenti alle scuole paritarie non si toccano anzi si accrescono e per le rituali e ormai anche un po’ stanche proteste di qualche operatore scolastico non tanto laico rigoroso (oggi il termine di moda è”radical chic”) quanto esasperato dalla cronica carenza di risorse e dall’essere costretti a vivere di questue, collette e balzelli per le più elementari necessità di mantenimento.

Altolà! Stavolta, il tono e il livello dell'intervento si elevano ai fondamentali diritti di libertà. Altro che fotocopie, gessetti (ma dov’è la digitalizzazione diffusa?), carta igienica! È in gioco la sacrosanta libertà delle famiglie, quelle famiglie che oggi - dice "lui" - sono costrette a consegnare i figlioli alla scuola di Stato ed all’indottrinamento di docenti comunisti annidati in quelle aule cadenti e tra quelle mura perennemente scrostate per la sistematica assenza di manutenzione. Pensate un po’. In quelle condizioni, in effetti da “socialismo reale”, un irriducibile spirito settario - sembra - ha introdotto di nuovo lo stato etico di totalitaria e infelice memoria. Non più “etica fascista” come avveniva nel Ventennio ’20 – ’40 ma "etica comunista" portata in salvo non si sa come dal crollo di un mondo sprofondato da oltre vent’anni.

Prevedibili le proteste generali: protestano i presidi, protestano i sindacati per una volta unitari - anche quelli paragovernativi. Protesta, ritualmente, l’opposizione. Da parte governativa reazioni altrettanto prevedibili: è il solito fraintendimento in malafede. Noi siamo il fare; e faremo, stiamo facendo la scuola del futuro, libera da condizionamenti e ideologie. La scuola delle famiglie. No alla scuola dei prof. politicizzati. E basta con il sessantotto.

Un istante di riflessione. Libertà conculcata? Non sembrerebbe proprio vista l’estrema varietà degli orientamenti politici - e religiosi - della classe docente. Qualche docente ideologizzato? Probabilmente, ma certo del tutto marginale e dall’efficacia sugli alunni assai meno che dubbia. Il problema, stando a quel che se ne sente e legge, è semmai quello di farsi sentire da ragazzi distratti, demotivati, senza prospettive. Non sarà invece che da qualche parte si pensi in realtà ad una nuova “scuola etica”? Di un’etica, questa volta, non politica - di Stato - ma confessionale, di religione.

Attenzione! È una grossa partita. E gli esiti sono difficili da prevedere. Infatti, perché non si consente ad ogni gruppo sociale, confessionale o no, di farsi una scuola? Così avremo una scuola cattolica, una scuola del libero pensiero, una comunista (se esiste ancora chi vi possa insegnare…) e poi fa tanto comodo, una scuola islamica, perché no? È stato ventilato periodicamente da ambienti qualificati. Motivazioni, quante se ne vuole. Libertà delle famiglie, principio di sussidiarietà, federalismo, che di questi tempi non guasta mai, economie, lotta agli sprechi, basta un po’ di fantasia.
Penserebbe poi il potere politico, quello che ha i cordoni della borsa, a fare la differenza. Nella situazione attuale è fuori dubbio che sarebbero le scuole di matrice cattolica, confessionali o di area, a trovarsi oggettivamente in vantaggio. Una fetta a enti politici localistici, leggi scuole padane, una fettina anche a qualche scuola islamica, magari utile a impaurire, sarebbe un prezzo del tutto accettabile. Che sia questa la conclusione di una lunga marcia? All’inizio dell’800 l’istruzione era monopolio di enti ecclesiastici. Le leggi che hanno accompagnato l’unificazione hanno spostato il monopolio allo Stato in quanto si riteneva suo dovere provvedere prima all’alfabetizzazione e via via allo sviluppo dell’istruzione, che in questa ottica non poteva che essere pubblica, cioè di Stato. Con l’ammorbidirsi delle posizioni pregiudizialmente laiciste si è fatto spazio, sia pure limitato, ad un’istruzione di matrice confessionale di vario ordine e grado soprattutto nelle scuole elementari, spazio gradualmente ampliato in parallelo con le norme concordatarie del 1929 e poi del 1985. C’è un discorso a parte per le scuole materne, in massima parte confessionali fino al 1968, anno di istituzione della scuola materna statale (l. 444). E anche allora, affiorano i ricordi, l’integrazione iniziale avvenne in modo da non togliere, giustamente, troppo spazio all’esistente.
La carta costituzionale (art. 33) riconobbe il diritto per enti e privati a istituire scuole “senza oneri per lo Stato”. Ne derivò un sistema parallelo su vari livelli. Scuole parificate, sussidiate, pareggiate, con riconoscimento legale, con semplice presa d’atto. Diverse le situazioni, a seconda della tipologia di scuola: materna, elementare o secondaria, e del gestore, privato o ente. Diverso anche il grado di collegamento con la pubblica amministrazione. Varie le possibilità di finanziamento in ragione delle funzioni e delle attività svolte. Di fatto il principio di esclusione di oneri a carico dello Stato non risultava nella pratica corrente così “esclusivo” come apparirebbe dalla lettera del testo costituzionale.
La materia, come tutti sappiamo, è oggi regolata dalla legge n. 62 del 10 marzo del 2000 “Norme sulla parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione” e successive integrazioni. La norma, “fermo restando quanto previsto dall’art. 33, c. 2 della Costituzione”, istituisce il Sistema nazionale di istruzione costituito dalle scuole statali e dalle scuole private e degli enti locali. Queste ultime hanno “piena libertà di orientamento culturale e di indirizzo pedagogico - didattico”. Inoltre, “il progetto educativo indica l’eventuale ispirazione di carattere culturale e religioso”. Conseguentemente al nuovo assetto del Sistema, per rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento alle regioni e alle provincie autonome per sostenere le spese sostenute dalle famiglie. Nel corso degli anni il volume dei finanziamenti si è incrementato sia per trasferimenti dallo Stato, sia, talora, per interventi delle regioni, nell’ambito di proprie competenze. Per un riscontro basterà scorrere i recenti provvedimenti ministeriali in materia.
Diventa ora più chiaro dove vada a parare la libertà delle famiglie di orientare la loro scelta ad una scuola coerente con il proprio orientamento culturale e religioso (o vogliamo anche aggiungere politico?). Come si garantisce l’effettivo esercizio della libertà di scelta? Si spostano i finanziamenti all’interno del Sistema scolastico nazionale dalle scuole statali alle scuole paritarie e il gioco è fatto. Il cerchio si chiude e così pure la “lunga marcia”. Da un lato una scuola di qualità, ricca, prevalentemente se non essenzialmente “libera”. Dall’altro una scuola “di scarico” statale, sempre più ridotta e povera per le classi subalterne. Non tutto in una volta, chiaro: si procede gradualmente, a dosi omeopatiche, e, comunque, nell’ambito della legislazione vigente. Il bilancio lo vota la maggioranza parlamentare.
Fantascienza, lettura eccessiva di un passaggio propagandistico, di un “segnale” a chi di dovere? È bene non esagerare con gli allarmismi. Non vediamo tutto nero seppia. Probabilmente è il solito polverone. Con l’aria che tira però… Chi dispone di una palla di vetro? Si faccia avanti.

P.S. Le ultime dalla politica. Il presidente: il solito travisamento di questa opposizione. Scontato. L’opposizione: il ministro si dimetta, scendiamo in piazza. Scontato. Il ministro: la scuola non è di una parte politica, ecco il frutto delle assunzioni di massa di insegnanti dequalificati, sottopagati e politicizzati. Non è una novità. Il portavoce: è proprio così. La scuola è in mano ai comunisti. È per questo che è agli ultimi posti. Le statistiche OCSE ci danno ragione. Però… magari si potrà tornare su. Forse, un’altra volta...

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