giovedì 22 ottobre 2009

Gruppo Facebook

Ultimamente ho ricevuto un bel po' di richieste di informazioni e contatti a proposito dell'insegnamento all'estero e ho pensato di creare un gruppo Facebook per discussione e scambio di informazioni utili fra prof. Italiani a casa o emigrati o in procinto di emigrare, e magari chissà anche fra prof. di altri paesi. Per chi volesse iscriversi o dare un'occhiata, il nome è "European teachers - Insegnanti in giro per l'Europa".

I have recently received quite a great deal of requests for information and contacts related to the experience of teaching in another country. So I have created a Facebook group aimed to discussion and information exchange among Italian teachers at home or abroad or about to move abroad. Maybe it will be used also by some "sir" or "miss" from other countries in Europe. If you are interested, the name of the group is "European teachers - Insegnanti in giro per l'Europa"

Precariato III - Precari for ever and ever?

Le novità di fine settembre. Siamo a metà ottobre. Improvvisamente, come accade di questi tempi, l’aria è rinfrescata di colpo. O forse sono le vecchie ossa che la percepiscono subito. Non è più tempo di stare all’aria aperta. Per un vecchio signore è meglio qualcosa di caldo al bar. I precari? Cortei non se ne sentono più... Il Ministro, va detto, pur tra tanti impegni, ha pensato anche a loro. Ha emanato un apposito decreto legge (n. 134 del 25 settembre) “Disposizioni urgenti al fine di garantire la continuità e la qualità del servizio scolastico ed educativo per l’anno scolastico 2009 – 2010”.

Forse le provvidenze disposte dal ministro non erano ancora a conoscenza o apprezzate nel giusto merito dai dimostranti del 3. Sarebbe interessante avere qualche commento sui risultati. Di che si tratta? Ecco qua. ….. in deroga alla legge 124 del 1999” concede ai precari che lo scorso anno hanno avuto un contratto a tempo determinato di durata annuale o fino al termine delle attività didattiche e rimasti ora “a spasso” per carenza di posti disponibili avranno la precedenza assoluta nelle graduatorie di circolo e di istituto. Beninteso, è tassativamente e espressamente esclusa la trasformazione in lavoro a tempo indeterminato o la maturazione di anzianità utile a progressioni economiche. Un’altra opportunità per le autorità scolastiche: possono attivare in collaborazione con le regioni progetti di tre mesi prorogabili a otto a favore prioritariamente a favore dei lavoratori di cui sopra che percepiscano l’indennità di disoccupazione. Sempre che le regioni mettano a disposizione le risorse finanziarie. Una variante di precariato sovvenzionato dal territorio.

Dal precariato alle graduatorie. Riprendiamo il filo. A ben vedere una quota di precari , o, come si dice “nel buon tempo antico”, non di ruolo, è presente da sempre nella scuola italiana. I posti di ruolo sono assegnati con il contagocce, i docenti fanno un periodo iniziale non di ruolo; un concorso dopo l’altro, prima o poi in ruolo si entra. Alla prima occasione i più preparati, gli altri a seguire. Il sistema è generalmente accettato. C’è chi, senza alcun demerito, entra in ruolo dopo anni. Per i pochi che non entrano in ruolo, niente paura. La progressiva anzianità garantisce comunque l’incarico per l’anno successivo. Per i meccanismi stessi di assunzione residua regolarmente una certa disponibilità. I concorsi vengono banditi ogni biennio, puntualmente per la scuola elementare a livello provinciale, ma con sostanziale regolarità anche per le secondarie a livello nazionale. Per queste ultime ogni anno si aprono ai neolaureati le sessioni di esami di abilitazione. Il sistema è funzionale ad una scuola di limitate dimensioni e con ritmi regolari di incrementi e di turn over. Il personale precario si mantiene in dimensioni limitate e comunque in progressivo fisiologico assorbimento. Il buon tempo antico passa. Arrivavano i tempi moderni. Le dimensioni si dilatano, i tempi operativi non si contraggono, anzi si dilatano a loro volta, il sistema non regge. È difficile tenere in uno stato di precarietà permanente un numero così elevato di persone. Il fenomeno assume dimensioni tali da renderne incontenibile la pressione. Che si fa? Si mettono in fila i precari presenti in una graduatoria da “esaurire” con la progressiva assunzione in pianta stabile. Unico criterio di selezione, gli anni passati in cattedra. In breve arriva la prima “graduatoria ad esaurimento”. Guardiamo la successione di date. 1962: legge sulla scuola media unica e conseguente espansione scolastica. 1965 (legge n. 336): graduatorie ad esaurimento. Il bis l’anno successivo (legge n. 603). È un criterio di selezione valido? E’ lecito dubitarne.

Si scorrono le graduatorie. Il concorso in soffitta? In effetti al principio lo scorrimento delle graduatorie come sistema di selezione è percepito come un periodo transitorio, di emergenza, da “esaurire” in breve, con il ritorno ad un sistema istituzionale. Di fatto, procedure concorsuali sono state bandite ed espletate senza però mai riuscire a divenire un elemento strutturale e sistematico di selezione, nonostante la normativa le consideri tuttora tali. Ciò in parallelo con le diverse leggi di “contenimento” e “assorbimento” del precariato. In concreto, ciò che doveva essere la norma di fatto è contingente; ciò che doveva essere contingente è di fatto la norma. La riprova? L’ultimo concorso si è svolto nel 1998.

Il precariato si autoalimenta. La situazione ha continuato a riprodursi negli anni anche quando la popolazione scolastica si è venuta progressivamente a contrarre per il calo della natalità e nonostante le successive leggi, tutte dirette a superare il fenomeno. È proprio vero che nel nostro paese non c’è niente di più definitivo del provvisorio, come sosteneva un vecchio uomo politico che la sapeva lunga. Due prime conclusioni si possono trarre, sia pure provvisoriamente. Il precariato è un dato di fatto da quasi mezzo secolo. Pare difficile attribuirne la responsabilità a specifici orientamenti politici, culturali, di costume. Se responsabilità politiche vi sono, sembrerebbe equo ripartirle fra i vari governi succedutisi nel tempo e altri soggetti, gruppi di pressione, sindacati…. Nel frattempo, stando ai fatti, si continuerebbero ad assumere precari riproducendo le inevitabili aspettative. Si potrebbero delineare alcuni motivi ricorrenti nella successione di norme e progetti. Sistemi di selezione inadeguati alle esigenze funzionali; una rigidità nel sistema che non consente, ad esempio, di assicurare le sostituzioni per periodi limitati senza creare ulteriori aspettative; la convinzione “illuministica” di una riforma di immediata operatività senza una accurata e credibile transizione. Una scorsa alla successione normativa è illuminante…. La serie storica abbozzata può essere di aiuto. Qualche ricordo personale… sarà per un’altra volta, se ci sarà. L’aria è rinfrescata, è proprio il caso di rientrare. Forse un sintetico parallelo tra norme e risultati aiuterebbe a spiegare….. Forse ci si tornerà, forse….

Precariato II – Usque tandem?

Settembre. È tempo di precari. Veramente siamo già in ottobre. Sabato 3. Questo settembre sembra perpetuarsi nel dolce pomeriggio dell’autunno romano. E anche certi problemi di questo settembre. E di tanti altri. Dal Viale Trastevere, fronte Ministero, in arte MIUR, gli slogan dei precari in corteo che affollano la via, tanti e con tanta rabbia, sovrastano gli abituali rumori del centro anziani con annessa bocciofila. Poveri figli! Tocca a loro di pagare in prima persona e da subito la cura da cavallo del Ministro. Poche storie, la scuola pubblica va rifatta. Le spese debordano, i test OCSE sui livelli di apprendimento sono impietosi. Via gli sprechi, basta con i sessantotini, via, in primis, la pletora di insegnanti precari risultato della politica assistenziale delle sinistre…

Si capisce che chi si è visto sparire il posto di lavoro, sia pure precario e retribuito solo per 10 mesi, non voglia convincersi di essere lui il primo a pagare il conto e quindi recalcitri e cerchi di farsi sentire. Per il Ministro la responsabilità è tutta del malgoverno delle sinistre. Provvedimenti chirurgici si impongono per uscire dalla crisi. A chi tocca, tocca. Il problema dei precari va risolto una volta per tutte. È il tema di questo settembre. Il vecchio funzionario riflette. Per quanto ricorda, i precari ci sono da sempre. Ma forse l’età gioca dei brutti scherzi. Vediamo di riprendere il filo dei ricordi. il rumore del corteo aiuta a risalire nel passato. Cortei di ogni genere, nel corso degli anni, e, puntualmente, a settembre, già, i precari.

Heri dicebamus. Dicevamo ieri, per chi non ha fatto studi classici. Che volete per generazioni funzionari, giuristi, professori, sono cresciute nel latinorum. Per un vecchio funzionario la citazione latina è un habitus – o deformazione? – mentale. Persino quando pensa. O ci prova. Vediamo; ieri si affacciava il sospetto di un fenomeno strutturale del sistema scolastico, visto che il problema di sistemare il personale precario risale agli anni ’60. Pensiamoci su. Cosa succede proprio agli inizi di quegli anni? Ma sì, la riforma della scuola media.

La scuola media unica. Più alunni più insegnanti. Anno 1962. La legge 1859 del 31 dicembre istituisce la scuola media unica. Un momento storico. L’istruzione obbligatoria – gratuita - è estesa per i tre anni successivi alla scuola elementare. Scompaiono la scuola media d’ingresso al ginnasio e quella di “avviamento al lavoro”. Una scuola secondaria uguale per tutti per dare a tutti uguali opportunità. Si dà piena attuazione all’art. 34 della Costituzione, sono le parole del legislatore dell’epoca. Ma soprattutto si avvia la scolarizzazione di massa. Un processo che si svilupperà in termini esponenziali negli anni successivi estendendosi progressivamente all’intera scuola secondaria. Anno dopo anno sempre più alunni affluiscono nelle strutture scolastiche. È il momento del boom economico, ma anche delle nascite, il baby boom. Occorrono strutture, risorse, per quanto ci interessa, più insegnati, le risorse umane. Fin dal primo anno e, via via, sempre di più.

Più insegnanti più precari. La conseguenza sembrerebbe fisiologica. Semplice. Servono più insegnanti, si ampliano i ruoli organici. E qui cominciano i problemi. Ampliare gli organici? Il Ministero del Tesoro inorridisce. Il personale di ruolo costituisce una spesa fissa a tempo indeterminato, progressioni stipendiali sia pur modeste. Il precario costa meno. L’importante è tirare al risparmio. Per l’immediato bastano i supplenti. Ma anche la Pubblica Istruzione ha i suoi problemi. Per entrare in ruolo occorre superare il pubblico concorso. Lo stabilisce la Costituzione. Le procedure concorsuali hanno i loro tempi: bando di concorso – da registrare alla Corte dei Conti; nomina delle commissioni; prove scritte; correzione degli elaborati; prove orali; pubblicazione della graduatoria – pure da registrare alla Corte dei Conti; infine, nomina dei vincitori. Tempi tecnici tali da rendere problematico seguire le dinamiche della scuola degli anni ’60. I supplenti, invece, sono disponibili in tempo reale, quasi. Niente di nuovo. La presenza di un certo numero di avventizi è fisiologica al sistema per via delle sostituzioni e dei tempi tecnici per colmare i posti vacanti. Ogni volta che il docente si assenta oppure va in pensione qualcuno deve coprire quel posto. Uno più, uno meno… E, allora, come si provvede? Si assumono tanti precari, poi si vedrà. Prende corpo la natura strutturale del precariato. Una condizione transitoria e marginale diventa permanente.

Ma qui si spengono le luci; si chiude, è ora di rientrare. In tutti i sensi. Il corso dei ricordi si interrompe bruscamente. Uno dei prossimi giorni proveremo a riprendere il filo.

mercoledì 21 ottobre 2009

Why do you want to be a teacher???

E’ la domanda che nessuno mi ha mai fatto in Italia… e che tutti mi hanno fatto in Inghilterra. C’è un documento ufficiale per rispondere (lo so, sono VERAMENTE troppo formali) e questo documento si chiama personal statement. I miei lettori che stanno pensando di abilitarsi in UK si trovano (o si troveranno) a scrivere il proprio. Più di uno mi ha chiesto consiglio. Allora ho pensato di riprendere quello che avevo scritto quando ho fatto domanda per il PGCE, di correggere i mostruosi errori di grammatica e lessico (mammamia! tre anni fa il mio Inglese faceva ribrezzo… come hanno fatto a invitami per il colloquio??) e pubblicarlo qui. Ringrazio tutti quelli che mi hanno chiesto notizie per avermi dato l’occasione di rivederlo e, di conseguenza, di riflettere ancora sulle mie motivazioni di prof…

I am glad to have the opportunity to clarify my motivations in choosing a career as a teacher.

One of the main reasons for this choice is my passion for education and more generally for working with people. I believe in human relationships and I like to take care of people at work as well as in daily life. Particularly, I am passionate about helping young people to grow up, to face the life better and better and to realize their true human potential. This experience has played a major role in my life for a long time: before approaching professional teaching I have worked for thirteen years as a volunteer in one of the biggest church associations in Italy, focused on human and Christian education of young people. In this association I have been responsible for young people activities in the whole Diocese of Rome.

Another reason is my passion for Science. I am interested in scientific thinking and culture since I was a child. I like to work out answers for questions using reflection and scientific study. I have always been curious about how nature, life and technology work, and how I can work on them. I see Science as a powerful and important point of view on the world. However, I do not feel that Science is the only point of view. I chose a scientific Degree course after a humanistic high school and I am interested in relationship between Humanities, Arts and Sciences as parts of a global education. I have also taken musical education up to Conservatoire level.

My professional experience as a supply teacher is also involved in my choice to apply for this course. Last year I have had opportunity to work as a teacher for a long period, including being part of a commission for Italian High School Diploma, and I am continuing now in different schools. Therefore, I have already experienced the job of teaching and I have realized how much this job can be fulfilling and inspirational for me. I feel I can realize myself in teaching much more than in other scientific jobs. In this job, I feel I can work to realize the values I believe in. I feel closer to myself and I have the opportunity to follow my passion for both science and education in one job. I would like to stress that I really enjoy being a teacher even if so far I have taught in quite difficult schools, with widely diffuse problems of behaviour and motivation. It may be relevant to know that I have also had previous work experiences in totally different contexts such as universities and companies and I can say by experience that I teaching is my favourite job.

It can be useful to clarify why I am planning a teacher training and a teaching career in England. Though I believe in my work, I am not fully satisfied with the way teaching is considered and teachers are trained in Italy. I have collected a great deal of information about English school system and teacher training and I have been impressed by the emphasis put on motivation and professionalism of teachers. Later, I have visited schools and PGCE providers in England and my first impression has been confirmed. I am sure that an English PGCE would be the best way to improve my professional skills and an English school would be the right environment for me to work.

All the reasons I have exposed make me believe that I am the right candidate for your course. I have strong motivation and I believe in education. I have had a lot of different experiences that involved working with people and I have achieved high level skills in human relationships, communication and motivation, job planning and team working. I have a serious scientific background focused on Chemistry including also Biology exams like Biochemistry, Microbiology and Physiology. I have received a deep general education including humanities and also music. I have also had work and experiences involving Science and Chemistry, in pure and applied research and in industry. I have a good level of English written and oral communication and I am working hard to improve it more and more. I have spent previously one year in another country (Denmark) using English for work and daily life and I know I can effectively face the work and daily life communication in another country.

venerdì 9 ottobre 2009

Una gita scolastica

Annunzio con giusto orgoglio che ho superato un’altra prova di sopravvivenza...
Ho accompagnato in gita per una giornata i miei sixth formers (i 16 - 18) senza che nessuno ci lasciasse le penne o restasse seriamente ferito. Per di più la destinazione era molto poco culturale: un “adventure park” dove ci hanno fatto arrampicare, strisciare in tunnel sotterranei e soprattutto fare una specie di skateboard giù per la collina che DECISAMENTE non è roba per me: il mio didietro deve ancora rimettersi. I ragazzi continuano a parlarne dopo settimane.
Mi chiederete: ma il viaggio di Istruzione, i saperi etc. etc.? In realtà, come ha puntualizzato il capo della sixth form, la temutissima (anche dal sottoscritto!) Ms N., NON era un viaggio di Istruzione, espressione qui poco usata, ma di “team building”. A dirlo terra terra: un esperienza che permettesse ai marmocchi cresciuti di apprezzarsi l’un l’altro, di avere qualche ricordo buffo in comune, di sperimentare in modo diverso dal solito cosa significa adattarsi, raccogliere una sfida, collaborare, fare uno sforzo, etc. Un esperienza di socialità che abbatte per un giorno (e magari oltre) i muri più o meno artificiali fra i ragazzi e anche fra “noi” e “loro”. Insomma, quello che, secondo me, è sempre stato lo scopo principale delle gite scolastiche, fin da quella raccontata nel film di Pupi Avati (magari senza tresche alunno – professoressa, va’!)
Quando ero alunno io, ricordo una discussione accesa con la mia stimatissima prof. di Storia e Filosofia proprio sulla funzione della gita scolastica, in cui io sostenevo il trascurato valore della socialità a scuola. Sono passati diciotto anni (oddio…) e io sono passato dall’altra parte della cattedra, ma su questo non ho cambiato idea. Per carità, in Italia ha un grandissimo valore portarli a vedere qualcosa di artistico e/o naturale: sarebbe probabilmente una mostruosità andare all’adventure park quando abbiamo Firenze o le Dolomiti. Tuttavia, abbandonare in parte la retorica del “Viaggio di Istruzione” potrebbe portare una salutare chiarezza. E anche aiutare a porre dei limiti: siamo qui (anche) per stare insieme, ma ci sono delle regole e sono queste.
Mi viene da pensare che questo è solo un piccolo aspetto di una filosofia della scuola che c’è qui e per cui in Italia ci manca la voglia o il coraggio o l’ingenuità o la retorica. In Inglese non esistono due parole distinte per dire “Istruzione” ed “Educazione”. “Education” è imparare le leggi che regolano la velocità di una reazione chimica in funzione delle concentrazioni dei reagenti, ma è anche imparare a vivere, felice per quanto possibile, insieme alle altre persone. È anche sapere cosa fare ad un colloquio di lavoro, a una festa di diciotto anni, al primo appuntamento. Almeno, averci pensato, averne parlato con qualcuno. Essere, in qualche misura, “preparato” per la vita e non solo per l’Università .
Su questo ci sarebbe da parlare troppo. Quindi la chiudo qui, per oggi. Grato di essere sopravvissuto alla crisi di panico di Emma nel tunnel e alle battute di Giovanni (si chiama proprio così: fra i neri Giamaicani è un nome esotico e molto popolare!) che mi faceva sicura intanto che arrampicavo. Domani però vado in viaggio di Istruzione in centro a Londra, a vedere la Galleria Nazionale dei Ritratti e la Tate Modern e magari anche Regents Park. Da solo, però, perché oggi è venerdì!! Thanks God.

mercoledì 7 ottobre 2009

The structure of the lesson I - One, two, three... START!!!!

Quassù chi ti viene ad osservare sta abbastanza attento alla struttura della tua lezione, a come hai pianificato e gestisci i diversi “episodi”, attività, etc. Io sono convinto che insegnare o educare non sia una scienza esatta, cosa che a volte ho ripetuto (con sprezzo del pericolo) anche a chi mi veniva ad osservare. Dunque diffido delle ricettine pronte per cucinare la lezione perfetta, the ultimate lesson a cui nessuno possa resistere o obiettare.
Tuttavia, studiare queste idee sulla carta e poi osservare ed essere osservato “sul campo” mi ha fatto riflettere varie volte su questo e altri aspetti. Soprattutto, mi ha provocato a superare l’idea che fare lezione sia “parlare per un’ora”. A volte parlare è quello che serve, a volte assolutamente NO. Dunque, permettetemi di spiegarvi in modo molto sintetico come vedono qui il “congegno – lezione”.
Innanzitutto ci si aspetta lezioni composte di almeno tre parti, che hanno anche un nome comunemente accettato: lo starter (l’antipasto), la main (il piatto forte) e la plenary (la parte conclusiva). In questo post vi parlo dello starter…

Lo starter è un’attività introduttiva. Può avere diverse funzioni: collegare la lezione a quelle precedenti o ad altri punti del curriculum, catturare la curiosità e l’attenzione, permettere ai ragazzi di condividere ciò che già sanno sull’argomento. Per le classi più difficili può essere un’attività quieta, un foglio che trovano sul banco (anche solo un cruciverba di parole chiave), una cosa da fare che trovano scritta sulla lavagna. In questo modo inizieranno la lezione tranquillamente e si adatteranno (forse…) all’idea di passare un’oretta in quella classe senza far male a se stessi e al prossimo. Tenete conto che in Inghilterra sono i ragazzi a cambiare classe fra una lezione e l’altra, quindi lo starter, o parte di esso, è il modo in cui li accogli in classe, nella tua materia, nella tua lezione, nel tuo “regno”.
Una cosa che in molte scuole è assolutamente obbligatoria (ricordatevene, se venite a un colloquio di lavoro qui): durante lo starter dovresti (che in Inglese significa “guai a te se non lo fai”) condividere con la classe i tuoi “learning objectives”. Cosa impariamo oggi? Che vuoi da noi? Dove vuoi andare a parare? La cosa mi sembra abbastanza sensata, nonostante un paio di volte ci sia rimasto male quando mi hanno dato un giudizio negativo o così così per non aver menzionato gli obiettivi all’inizio (ma quanto siete pedanti!). In fin dei conti, gli stiamo chiedendo (o prendendo senza permesso, se è scuola dell’obbligo) un’ora del loro tempo, un’ora in cui potrebbero giocare a pallone, sfidare la gang rivale a break dance per strada, buttarsi su un prato con una possibile anima gemella o struggersi perché la suddetta non ne vuole sapere, comporre poesie immortali o, nel peggiore dei casi, piantarsi davanti alla play station. Dunque, perché? Un perché glie lo dobbiamo. Poi gli Inglesi purosangue, quelli eredi di Locke e innamorati della ricerca empirica, vi sfodereranno le loro ricerche sul campo elaborate con rigorosi criteri statistici dalle quali emerge che condividere i tuoi obiettivi innalza il livello di motivazione, di partecipazione e il rendimento. Dunque, guai a te se non lo fai!
Io spesso approfitto della tecnologia che ci forniscono per mettere su un po’ di musica classica che distenda gli animi e inviti a non alzare troppo la voce. Sulla lavagna digitale (la salvezza per un povero prof. allergico al gesso!!) gli faccio trovare una lista di domande, oppure una sola molto complessa, oppure un’immagine da commentare, oppure ancora delle parole chiave da accoppiare o da usare per fare frasi. Prima di tutto, però, scrivono il titolo della lezione, la data e un sintetico “learning objective” sul loro quaderno. Tutto ciò sarà già sulla lavagna.
Specialmente con i piccoletti del Key Stage 3 (equivalente alla nostra scuola media), con cui trovo maggiori difficoltà di gestione, il mio scopo è costruire una sorta di routine che dia l’impressione (l’illusione? Ma in fondo insegnare è anche un gioco di prestigio…) di un certo controllo ed ordine. Io NON sono un uomo di ordine e di routine e nell’insegnare cerco di essere creativo più che si può, altrimenti mi annoio e quindi si annoiano anche loro e se loro si annoiano magari mi uccidono per passare il tempo. Però ho imparato che un certo grado di prevedibilità, specialmente in alcuni punti chiave della lezione, dà sicurezza, fornisce una cornice in cui si può lavorare.
“Ok, adesso c’è Scienze (di nuovo, Scienze, *****!): Mr Italian Mafia mi dice benvenuto come va, con quel sorriso di *****: ma che ***** ti ridi, che insegni Scienze??? Dunque: se entro lanciando coltelli o mostrando il **** a tutti potrebbe essere divertente, ma poi quello mi fa riuscire e mi fa la paternale e poi magari chiama a casa e a casa sono già nervosi per via che mia sorella porta la pistola e mio fratello si droga e la sorellina piccola si è messa a fare la *******. Adesso sono entrato, odio questa musica del ****, cosa devo fare ora? Ah, sì: prendo il mio quaderno, lo apro e scrivo quelle quattro ******* che ci sono sulla lavagna e poi faccio quella attività da ******* e che *** stramaledica questa ***** di musica che Mr PizzaSpaghetti ama così tanto. Ma che si crede, pensa di calmare i miei bollenti spiriti con questa robaccia? No, magari pensa solo di farmi addormentare, e ci sta pure riuscendo… YAWNNN… deve aver messo di nuovo il cloroformio nel condizionatore… doppio YAWNNN… vabbè, ho finito, vediamo cosa si è inventato oggi. Magari c’è modo di farci quattro risate… Purchè si cominci presto, mica sono qui ad aspettare i suoi comodi!”

Di solito cerco di dare un tempo limitato per questa attività, e per altre ma il “timing” non è esattamente il mio forte: altra cosa che può procurarmi qualche grattacapo quando ho “ospiti” puntigliosi a osservarmi. Alla fine, chiudo l’attività con domande o con qualcosa di più “dinamico”. La lavagna digitale mi permette di chiamare i ragazzi a muovere e organizzare le parole che ho scritto, o altre cose del genere. Sempre per fare domande o richiamare parole chiave (qui sono fissati con le parole chiave!) a volte gli do una palla di gommapiuma da passarsi, o gli faccio fare un gioco competitivo.
Spesso, alla fine dello starter, mostro gli obiettivi della lezione in una forma più analitica, tre punti invece di uno, e chiedo ai ragazzi di leggerli ad alta voce, sottolineandoli con uno squillo di tromba, prodotto dalla solita lavagna digitale che purtroppo non riesce a fare un espresso decente ma fa qualunque altra cosa! Con i ragazzi della sixth form (corsi preuniversitari di Chimica e Biologia) che sono lì per loro scelta, a volte mi arrischio in una breve discussione sulle loro motivazioni. Perché dovresti imparare questa cosa? Non lo sai? Allora stai qui a perdere il tuo tempo? Forza: pensa a UN motivo valido per fare lo sforzo di imparare queste cose…

Questo è quanto, alla rinfusa come sempre. Prossimamente vi parlerò delle altre due parti (o anche tre, o cinque) della lezione.

Cheers!

martedì 6 ottobre 2009

Pubblico & privato! NON mi riferisco al Presidente del Consiglio...

A cosa mi riferisco, dunque? Alla scuola, visto che siamo in un pub che ha la ventura di essere costruito sotto scuola e che, ogni venerdì sera, si riempie di vari membri del corpo insegnante. Pubblica o privata? Una birra NON basterà per rispondere alla questione.
Il rapporto OCSE-PISA consegna ai nostri studenti la maglia nera su alcune competenze di base matematiche e linguistiche rispetto alla performance degli studenti di molti altri Paesi occidentali. Di questi risultati e della loro validità si è ampiamente dibattuto in sedi ben più serie (o che almeno si prendono ben più sul serio) di questo pub.
Domanda: come vanno in questi test le scuole private Italiane?...

Sull’argomento ho trovato un articolo molto interessante, per quanto molto “schierato”, a cura di Dante Di Nanni, pubblicato sul sito di retescuole.
Se andiamo sulla preparazione accademica “di base”, chi ottiene i risultati migliori? Pubblico o privato? Stato o mercato (o no profit)?
La risposta, ovvia per molti Italiani, può sorprendere (e forse sorprendere è dir poco) qualunque insegnante, studente, genitore, cittadino del resto dell’occidente, in particolare britannico. Fondamentalmente l’Italia è l’unico paese in cui il risultato medio delle scuole private è peggiore di quello delle scuole pubbliche. L’unico, ripeto. In qualunque altro luogo della vecchia Europa industrializzata, un genitore che decide di farlo (e che se lo può permettere) paga una retta aspettandosi in cambio qualcosa di ben preciso. Un’istruzione migliore, una preparazione con una marcia in più, dei risultati eccellenti, o comunque sopra la media, che permetteranno al rampollo di far parte dell’elite invece che della massa.
Lasciando perdere tutte le discussioni che si potrebbero aprire sulla visione di scuola, educazione e società che sta dietro a queste aspettative, è indiscutibile che la famiglia sta pagando per qualcosa che vale la pena: un’eccellenza che si tradurrà in un futuro migliore per il ragazzo. È, per me, prevedibile che secondo i dati citati nello stesso articolo il Regno Unito sia il luogo dove è maggiore il valore aggiunto delle scuole private (+ 75% sulla media nazionale). Prevedibile: qui le scuole private sono un’istituzione antica, magari detestata da qualcuno ma rispettata da tutti. La scuola privata è il luogo dove ti propongono un curriculum più serio e approfondito, ti impongono una disciplina di studio più severa e delle prove più ardue che nella scuola pubblica. Di conseguenza, se lavori sodo, agli esami avrai una maggiore possibilità di raggiungere risultati eccellenti – attenzione: gli esami sono esterni e amministrati da un’autorità indipendente. Questi risultati ti permetteranno di entrare nelle migliori università e di avere una brillante carriera di ingegnere medico avvocato cattedratico etc. etc. etc.
Peter Pan, un personaggio estremamente britannico, quando dalla culla sentì suo padre fare di questi discorsi su di lui, pensò: “Fossi matto!” e volò via dalla finestra per non tornare mai più. Peter Pan è uno degli eroi della mia infanzia e non solo. Una parte di me concorda decisamente con lui. Un’altra parte di me si rifiuta di concordare perché, altrimenti, dovrei cambiare mestiere. Tuttavia, devo anche riconoscere che suo padre, alias il terribile Capitan Uncino, ha una le sue ragioni, ragioni particolarmente stringenti in una società meritocratica e competitiva. Scendendo nel mio piccolo particolare, un po’ di miei studenti pakistani o africani o caraibici vogliono diventare dottore o qualcosa del genere e io VOGLIO con tutte le mie forze che ottengano il risultato che glie lo permetterà, e gli dedico tempo, energie, pacche sulle spalle e predicozzi extra per questo. Dunque, se io faccio questo e sono “solo” un professore, perché un genitore non dovrebbe pagare una retta ad una scuola privata retrograda & classista per dare al figlio una chance in più di “farcela”, qualunque cosa ciò significhi?

Lasciamo stare questi dilemmi, e mettiamoci nei panni di uno straniero che guarda il NOSTRO sistema, le sue scuole pubbliche e private, gli studenti e le loro famiglie. La (sua) domanda sorge spontanea: COSA state pagando? Perché iscrivere un figlio ad una scuola privata, magari fare dei sacrifici per questo e poi avere risultati peggiori della scuola pubblica? Ancora: come è possibile che si conducano battaglie di opinione, di politica e persino di religione (!!!!) sul diritto al finanziamento per le scuole private, al sostegno per le famiglie che le scelgono? Diritto di avere “qualcosa di meno” per il proprio figlio?
Con pazienza (tanto è venerdì, thanks God) offrirò un altro drink al nostro interlocutore e gli spiegherò che il genitore Italiano sta, in effetti, pagando per qualcosa che “vale”. Non la preparazione, però, ma “il pezzo di carta”. La maturità – magari con un voto alto o decente – senza troppi rischi e senza troppa fatica e ansie: si sa che lo stress può essere pericoloso per gli adolescenti, poveri figli. Avendo discusso questo argomento varie volte al pub sotto scuola, guardo ormai con un certo fastidio questi Inglesi spocchiosi che dicono: ma come? Il pezzo di carta e relativo voto non corrisponde allo stesso livello in tutte le scuole del Regno – beg your pardon: della Repubblica?
Dopo avergli spiegato che no, non si può dire che un 100 (o un 10, un 8, una sufficienza, un’insufficienza grave) siano esattamente la stessa cosa in tutta Italia, azzarderò che non tutto si può misurare in modo oggettivo. Aggiungerò che certi britannici tentativi di misurare qualunque cosa rischiano di sconfinare nel ridicolo. Su questo il mio interlocutore, essendo un collega, potrebbe anche essere d’accordo con me.
Poi, per amore di completezza, dovrò aggiungere che il problema è anche un altro. Una certa quota di genitori (francamente non credo che siano poi tanti) vogliono una scuola tranquilla, senza il carnevale perenne delle occupazioni – autogestioni (tutte quelle lezioni perse e poi, oggesummio, si fermano a scuola a dormire e in quei sacchi a pelo chissà mai cosa succede!), in un ambiente più controllato e meno rischioso. Oh, do they? At school??? This is very curious… very pittoresco!
In più, concluderò, c’è una minoranza che vuole iscrivere il proprio rampollo in una scuola cattolica, in modo che gli insegnamenti ricevuti non mettano a rischio ma anzi rafforzino la Fede e i valori che il genitore con tanto sforzo e tanta buona volontà sta cercando di trasmettere. (Mmmmm… credo veramente in ciò che dico? Da cristiano, conoscendo un po’ l’ambiente, posso dire che tanta gente si pone questo problema? Da prof., conoscendo un po’ anche quell’ambiente, posso dire che orde di colleghi anticlericali si pongono il problema opposto, di scristianizzare i ragazzi? Mah!! A volte, per amor di patria ci si arrampica sugli specchi…)
Inutile porsi il problema: il collega, dopo aver offerto il suo round, mi sommerge di amichevoli osservazioni (che è la cosa peggiore che si può ricevere da un Inglese, che Dio li stramaledica!) Ma perché i genitori non fanno una campagna per una scuola più seria e aperta ad ogni punto di vista religioso? Ma perché non fate, come noi, delle scuole pubbliche confessionali (non solo cattoliche, chiaramente) purchè chi le dirige si uniformi ai programmi e ai sistemi statali e si sottoponga alle stesse rigide ispezioni? Eeeeeh??? Ma sei matto?? È contro la Costituzione e la Laicità dello stato… Senza contare il diritto dei preti ad essere padroni a casa loro… Ma perché non fate delle prove nazionali, con tutti i loro limiti, così potete confrontare il nord e il sud, il pubblico e il privato? Ma perché la Chiesa ci tiene tanto a fare catechismo a scuola? Non avete la Sunday School dopo messa, voi cattolici?Noi il catechismo lo facciamo in quella sede…
Ci rinuncio. Basta con la birra, potrei offrire un giro di tequila sale e limone adesso. Purchè, per questa sera, la piantiamo di parlare di scuola!

Read more!