domenica 21 dicembre 2008

Come ti amministro la scuola. Cronachette dal giardino pubblico. Atto IV

Scuola e attualità. Si sfogliano i giornali, uno spoglio alla buona, raccattato dal tavolino del bar. A che punto è l’attualità della scuola? Stato di crisi, calo di attenzione, “conflitto dimenticato”? Da un giorno all’altro, da un giornale all’altro, lo scenario si scompone e ricompone variamente. Negli ultimi giorni sembra prevalere la comunicazione delle superiori autorità. Un messaggio rassicurante o una “marcia indietro”, dipende dal commentatore...

La riforma riveduta e spiegata al popolo. Il Ministro in persona interviene a chiarire i malintesi e la disinformazione che a suo dire hanno distorto, finora, la portata e i caratteri reali della riforma.
Per la Scuola Primaria applicazione a regime già dall’anno prossimo. Nessuna paura per il tempo pieno che, anzi, potrà essere rafforzato recuperando risorse dal superamento del modulo. La decisione è comunque rimessa alle famiglie. Queste potranno scegliere tra diversi “pacchetti” dalle 24 ore settimanali al tempo pieno. Quello che dev’essere chiarito una volta per tutte è che il “modulo” (tre insegnanti su due classi) è morto e sepolto.
Per la secondaria i programmi sono stati ampiamente elaborati ma si è ritenuto opportuno approfondire alcuni temi per una migliore definizione. Si avrà in ogni caso una forte contrazione degli indirizzi, in particolare negli istituti tecnici e professionali, e una riorganizzazione dei licei.
È una “marcia indietro”? Una “saggia apertura” al dialogo? Una risposta alle strumentalizzazioni? Sarebbe importante che si cominciasse comunque a ragionare, commenta il lettore, soprattutto senza pregiudizi. Di fatto la riforma della Primaria, sembra di capire, si concreta nell’abolizione del modulo. Fermo restando il “maestro prevalente”, ci saranno più ore di Inglese. Tutto qui? Sembra però anche di ricordare che il decreto di riforma si rifacesse agli obiettivi di contenimento della spesa presenti nel Documento di Programmazione Economica. Sembra anche di ricordare che tali obiettivi fossero specificati nel dettaglio anno per anno. Se l’articolazione è davvero rimessa alla scelta degli utenti, da dove verranno i risparmi? Restiamo in fiduciosa attesa.

La riforma della Scuola Secondaria. Per la scuola secondaria, in attesa degli approfondimenti, sembra comunque acquisita l’idea di una consistente riduzione del tempo scuola, in particolare per gli istituti tecnici e professionali. Il lettore distaccato e disincantato trova qualche difficoltà ad orientarsi tra aspetti tecnico-organizzativi, didattici e di curriculum, finanziari e puramente ideologici. In particolare, suona strana l’insistenza nel collegare i modesti risultati dei nostri studenti nei test comparativi internazionali e il tempo – eccessivo, pare – che gli studenti stessi trascorrono sui banchi. Come a dire, con un originale sillogismo: a) i ragazzi imparano poco e male; b) i ragazzi passano molto tempo a scuola; c) con meno tempo scuola impareranno di più e meglio (dalla play-station?) In conclusione, uno slogan quanto meno innovativo: meno scuola, più sapere. Inoltre, lascia pensare il fatto che i più colpiti dalla riduzione di ore siano gli studenti di istituti tecnici e professionali, sicuramente non i più portati allo studio indipendente e alla ricerca di strumenti alternativi di formazione (play station a parte).
Dai documenti che circolano, ad ogni modo, appare una tendenza alla razionalizzazione degli indirizzi sicuramente condivisibile. Bene anche la scelta di dedicare ulteriore tempo alla riflessione e, si spera, al confronto con tutte le parti in causa. Più concretezza e meno ideologia? Anche meglio! Nessuna retromarcia? Benissimo, purché si ragioni senza paraocchi e paraventi (leggi: se il problema sono i soldi, diciamolo chiaramente).

L’Università tira. Un settore che continua a tirare nell’informazione è l’Università. “L’Italia degli atenei inutili”, a firma di Gian Antonio Stella per Il Corriere della Sera dell’11 Dicembre 2008, ci informa che nel nostro paese esistono “33 università senza nemmeno una matricola”. I dati riportati danno la dimensione della spesa e le possibili direttive di una riqualificazione delle (scarse) risorse.
Una proposta su come risparmiare? “Buttiamo la zavorra dei non professori” propone il prof. Giacomo Rizzolatti su La stampa - Tuttoscienze del 3 dicembre 2008. L’autore ripropone il problema annoso del dualismo didattica – ricerca. Un docente la cui attività non produca ricerca e si limiti ad una didattica più o meno svogliata o delegata è un “non professore”. Se, come è logico, tutti costoro venissero parificati (soprattutto economicamente) a professori di liceo, l’abbattimento dei costi sarebbe risolutivo. Come qualificare il livello della ricerca? Il nostro autore propone una classifica in base alla frequenza di citazioni nei principali motori di ricerca del web. Lo strumento potrà sembrare rozzo a certi palati raffinati. Sarebbe sicuramente più efficace di certe polverose raccolte cartacee (magari scaricate dal web) e, almeno, non autoreferenziale.
L’Italia degli “atenei inutili” 33 università senza nemmeno una matricola. il corriere della sera 11 dicembre 2008 Gian Antonio Stella

Dall’angolo del vin brulè, cordiali auguri di Buon Natale a Felice Anno Nuovo.

sabato 20 dicembre 2008

Come ti amministro la scuola. Cronachette dal pubblico giardino. Atto III

Un’alternativa ai tagli tout court.

Leggendo si impara (e si corregge). Il Capo non legge il giornale in ufficio; il Capo si aggiorna. Era la prima massima del “decalogo del Capo” che compariva sulla parete di certi polverosi uffici ministeriali dei tempi andati. È ancora così? Chissà. Comunque, è sempre vero. Anche quando il giornale non poggia più sulla scrivania ma sul tavolino del bar degli anziani che nei giorni piovosi sostituisce la panchina del giardino pubblico. Leggere il giornale è sempre un aggiornamento. Utile, anzi necessario. Si colmano vuoti di memoria e si correggono affermazioni fuori della realtà. Di recente si è attribuita al responsabile della protezione civile la stima di 4.000 miliardi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici...
Si tratta di una clamorosa defaillance: si tratta, infatti, di soli 13 miliardi, una cifra enorme ma di dimensioni terrene e non da fantascienza. L’errore può spiegarsi solo con un “ritorno al passato”, dall’età dell’euro all’età della lira. L’informazione corretta sulla cifra stimata viene dal dossier “Troppe scuole, pochi studenti ecco gli sprechi dell’istruzione” a fima di Massimo Bordignon e Alessandro Fontana pubblicato su “Repubblica” del 5 dicembre, nelle pagine dell’economia. Il testo integrale è su: www. La voce. info.
Il prof. Bordignon è professore straordinario di scienza delle finanze presso l’Università Cattolica di Milano e componente della Commissione tecnica spesa pubblica. La lettura è istruttiva per la novità dell’impostazione finanziario/organizzativa e sollecita qualche riflessione.

Gli sprechi: ridotti e reinvestiti. “A scuola d’investimenti”. L’articolo si fa apprezzare fin dal titolo. L’obiettivo è imparare ad investire. Si percepisce un’inversione logica rispetto a una linea in cui l’obiettivo è “tagliare” mentre “investire” è una subordinata eventuale. Questo è il punto: l’uso razionale delle risorse. Ed ecco la proposta in sintesi.
“Per l'edilizia scolastica, e più in generale per l'istruzione, risorse scarse e mal distribuite. Ma dove trovare i soldi per gli investimenti? Le scuole italiane sono in cattivo stato anche perché sono troppe. Si potrebbe cominciare a chiudere i plessi inefficienti. Non con le imposizioni, ma attraverso una più corretta gestione dei rapporti finanziari tra livelli di governo. Parte dei risparmi dovrebbe rimanere all'ente locale per essere reinvestiti nel settore scuola. Necessaria una mappa efficiente dell'organizzazione del servizio scolastico sul territorio”.
Sempre più interessante. Il testo che segue approfondisce il tema, facendo perno sulla eccessiva polverizzazione delle scuole, da cui deriverebbe anche una eccedenza di docenti, e su una ipotesi di una nuova razionalizzazione condivisa in quanto comporti una ripartizione equilibrata tra i vari livelli, ministero, regioni ed enti locali, di oneri e vantaggi: se il livello locale vuole mantenere un numero di istituzioni superiore agli standard se ne accolla gli oneri eccedenti; una quota di quanto risparmiato con la riduzione degli insediamenti rientra al livello locale per essere destinata alle scuole. Si avrebbe così una più equilibrata ripartizione cost/benefit: lo Stato guadagna in efficienza, l’ente locale incrementa le disponibilità finanziarie destinate alle scuole, queste ultime acquistano in sicurezza.
Potrebbe essere un buon punto di partenza per una razionalizzazione della rete scolastica funzionale e condivisa, dopo tante “razionalizzazioni” meccanicistiche, imposte e non di rado nella sostanza inefficaci. L’impostazione appare innovativa muovendo da una base di conoscenze e considerazioni più volte ripetute, dibattute e, a onor del vero, anche contestate. Se ne raccomanda la lettura a chi fosse interessato.

Qualche spunto di riflessione. Una breve pausa per raccogliere idee. L’articolo sottolinea la necessità dell’anagrafe dell’edilizia scolastica prevista dalla legge n. 23 del 1996 per migliorare l’allocazione dei fondi e di cui non vi sarebbe traccia. Siamo sicuri che le cose stiano così? In effetti l’organigramma del Ministero prevede un apposito ufficio per l’edilizia scolastica. È una questione di risorse, di operatività, o altro? Si stima di condurre un’operazione complessa – predisposizione di una mappa efficiente dell’edilizia, individuazione delle scuole da chiudere – in meno di un anno. Se ne è valutata la fattibilità, in relazione alle strutture operative, centrali e periferiche, ed agli aspetti organizzativi? Qualsiasi iniziativa non può prescinderne sull’errata presunzione che “l’intendenza seguirà”. Il principio era senz’altro valido per Napoleone e De Gaulle. Non lo è sempre stato per la Pubblica Amministrazione di casa nostra.
Dovrebbe essere imminente l’emanazione del decreto di organizzazione del Ministero della pubblica istruzione (l’ennesimo negli ultimi anni) per adeguarlo alla nuova struttura del Governo. Si parla, anche, e con insistenza, di ulteriori ristrutturazioni. In qualsiasi ipotesi di lavoro il livello di flessibilità e di efficienza del modello organizzativo non può essere una variabile indipendente.
Ragionando di strutture operative torna in mente un aspetto, in apparenza secondario. Gli autori individuano nel distretto scolastico il riferimento istituzionale per l’integrazione o l’accorpamento tra plessi diversi. È bene tenere presente che il distretto è, in buona sostanza, una ripartizione territoriale senza effettiva capacità operativa, ben diversamente da come era stato inizialmente concepito, in analogia alle local authorities del sistema scolastico inglese. Sulla sussistenza si attende ormai da vari anni la riforma degli organi collegiali. Ma tra riflessioni e ricordi meglio non divagare…..
Last but not least. L’ipotesi di lavoro è assai interessante. C’è da sperare che venga valutata adeguatamente ai livelli decisionali. Resta il fatto che anche in questo caso la consistenza dei risparmi stimati deriva in massima parte dalla riduzione del personale, punto di arrivo della riduzione delle istituzioni scolastiche. È un aspetto che si inserisce a pieno titolo nel processo di razionalizzazione equilibrato. Qualche riflessione andrà pur fatta.

mercoledì 3 dicembre 2008

Come ti amministro la scuola. Atto II.

Un’emergenza periodica: la sicurezza.

Il d. l. 137. Meno soldi più serietà?. A questa conclusione portava l’esame del nocciolo del decreto legge di riforma della scuola combinata con le affermazioni del responsabile del Ministero della pubblica istruzione “è tornata la serietà”. Il motivo della serietà degli studi d’altra parte era tornato in successive dichiarazioni: “basta con il sei politico” “basta con il diciotto politico”. Il sopravvivere di tale consuetudine e i collegamenti con il decreto erano alquanto oscuri. Per questi ed altri motivi occorreva una lettura articolata a tutto campo ed una più matura riflessione...
Il tempo passa, scorre il calendario, trascorrono tre settimane da quelle prime riflessioni in libertà sulla nuova scuola riformata. Il decreto-legge 137 è stato convertito da un mese (l. 169 del 30 ottobre). La riflessione articolata tarda a concretarsi. Mancano gli stimoli, forse prevale la noia. L’attenzione dei “media” va scemando. Prima o poi….

Arriva l’incidente: si scopre che le aule non sono sicure. Prima che poi, accade qualcosa che riporta la scuola in prima pagina. A Rivoli, nel progredito Piemonte, non nel profondo sud, è crollato il soffitto di un liceo scientifico, un ragazzo è morto, altri sono rimasti feriti. Commozione generale, sdegno, ricerca di responsabilità, accuse reciproche tra parti politiche, giustificazioni più o meno felici. Una domanda corre nelle famiglie: la scuola dei miei figli è sicura? Da parte governativa si sottolinea che proprio nella conversione in legge del decreto 137 tanto criticato sono stati introdotti provvedimenti per la sicurezza delle scuole (art. 7 bis).

La Protezione civile: metà delle scuole a rischio. Dagli organi responsabili della protezione civile e dal dibattito parlamentare si apprende: a) metà delle scuole italiane non sono a norma; b) una messa a norma comporterebbe un impegno finanziario enorme (4.000 miliardi?); c) anche a disporre di quella somma occorrerebbe un numero indefinito di anni per poterla spendere per via della burocrazia tant’è che solo ora si compiono gli interventi decisi dopo la strage di S. Giuliano del 2002 (l’unico edificio crollato per il terremoto è la scuola elementare); d) l’edilizia scolastica è competenza degli enti locali; e) si assume un impegno a provvedere con interventi adeguati, in aggiunta a quelli già attivati con il decreto legge 137.

L’emozione passa; i problemi restano. Nelle famiglie ci si continuerà a porre per qualche giorno la domanda angosciosa: cosa succede nella nostra scuola, quella dei nostri figli? È sicura o rischia di cadergli in testa? Passata l’emozione del momento il problema si riproporrà alla prossima occasione. Non per niente questo è il paese, oltre che del sole, dell’emergenza. La previsione è anche troppo facile e, ragionevolmente, sarebbe il caso di pensare ad altro. Ma l’anziano funzionario non ha molto a cui pensare e si attarda nei ricordi che, per quanto non aggiornati e carenti sul piano tecnico/giuridico, gli danno grosso modo un quadro di riferimento.

Gli interventi in corso (D.L. 137 – L. 169). Cominciamo dai provvedimenti per la per la messa in sicurezza introdotti con la conversione del decreto 137; non foss’altro perché ci consentono di seguire quel filo conduttore. Nel testo si richiama un intricato complesso di norme che vanno dal 1986 al 2007. Per elementari ragioni di igiene mentale, non ci addentreremo nel labirinto. Stiamo all’essenziale. Dalla prima norma di riferimento (l. 289/2002) si evince che si tratta di interventi diretti in particolare alla messa in sicurezza di edifici che insistono sul territorio delle zone soggette a rischio sismico. Nel merito, i provvedimenti dispongono per l’utilizzazione di somme comunque già stanziate e non utilizzate nel volgere degli anni. Ora, se è incontestabile la presenza del rischio sismico nel territorio nazionale, è altrettanto vero, purtroppo, che gli edifici scolastici non sono solo a rischio di terremoti ma, e anzitutto, in quotidiane situazioni di ordinaria carenza di sicurezza. Quanto all’impegno finanziario, non comporta, a norma vigente, alcuna integrazione. In effetti si dà la possibilità di riciclare somme che avrebbero già dovuto essere investite utilmente in sicurezza e che di fatto la tesoreria dello Stato ha finora risparmiato eludendo l’impegno assunto nei confronti dei cittadini a garantire, tra l’altro, a fronte delle tasse percepite, scuole sicure.

Gli intralci burocratici. Risorse e disponibilità. La colpa, secondo la denuncia del responsabile della protezione civile è degli intralci burocratici. Le cose, nei ricordi, certamente confusi, non stanno proprio così. Stabilito che la burocrazia è brutta e cattiva per definizione, sembra un po’ troppo facile attribuire ogni colpa ad un’entità, un Moloch di fatto irresponsabile. La burocrazia ha come limite proprio quello di seguire pedissequamente, e se vogliamo, ottusamente norme e procedure che non hanno origine autoreferenziale ma da un potere legislativo (Parlamento) o regolamentare (Governo) di cui l’apparato è l’esecutore. Da oltre un decennio esistono specifiche norme per la semplificazione delle procedure. Nell’attuale compagine governativa la materia è attribuita ad un Ministro. Non dovrebbe essere impossibile intervenire sulle procedure di spesa al fine di renderle più flessibili e adeguate alle necessità operative. Se ciò non è avvenuto non potrà per caso dipendere da un sistema di governo della finanza pubblica che tende a contenere surrettiziamente la spesa,, proprio attraverso quelle procedure così macchinose, in quanto incapace di controllare altrimenti i mille rivoli dei flussi di spesa?

La sicurezza nelle scuole. Il decreto 626/94. Un’attualità ultradecennale. Veniamo al nocciolo della questione, la messa a norma, o in sicurezza, sul piano dell’operatività ed alle responsabilità dei diversi soggetti interessati. È il caso di riordinare i ricordi. Premesso che l’obbligo di operare in condizioni di sicurezza negli edifici scolastici come nelle diverse attività era stato oggetto di varie normative di settore succedutesi nel tempo, il tema della sicurezza viene assunto in un contesto unitario con il decreto legislativo emanato in attuazione della direttiva europea sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, il d. lgv. 626 del 1994 poi integrato dal d. lgv. 242 del 1996. Il decreto, oltre a riprendere ed aggiornare le varie normative di settore, dà un assetto sistematico alla materia in particolare con l’introduzione di specifiche procedure e soggetti titolari di precise responsabilità. Le norme in particolare per quanto riguarda in primo luogo la sicurezza delle attività lavorative, fabbriche, cantieri, sono state di recente aggiornate (d. lgv. n. 81 del 9 aprile 2008 in base alla legge di delega 123 del 2007) per renderle più efficaci a fronte dei molteplici incidenti sul lavoro, non di rado mortali, le “morti bianche”. Anche per la scuola il decreto sulla sicurezza segna un punto di svolta. Con l’attuazione delle norme sulla sicurezza diventa infatti di attualità anche la messa a norma degli edifici scolastici. E’ il caso di ripassare i meccanismi e i passaggi attuativi
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Il sistema di prevenzione e protezione. È la struttura su cui poggia l’impianto di garanzia della sicurezza. Si articola su due elementi portanti: a) attribuzione delle responsabilità b) definizione delle procedure. Ai soggetti titolari delle diverse responsabilità fanno capo precisi obblighi con le relative sanzioni in caso di inadempienza. Primo responsabile è il datore di lavoro poi, ai vari livelli, le altre figure: il dirigente, il responsabile del servizio prevenzione e protezione, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente, etc.. Individuati i responsabili, si definiscono le procedure attraverso le quali rendere effettiva la sicurezza: elaborazione del documento dei fattori di rischio, eliminazione o contenimento dei medesimi, informazione e formazione dei lavoratori, fornitura ai medesimi dei presidi di protezione, organizzazione degli interventi antincendio e di primo soccorso, etc. Alla base delle misure di prevenzione dai rischi è la messa a norma delle strutture e degli impianti, cioè l’adeguamento dei medesimi ai livelli minimi previsti dalle norme vigenti per la salvaguardia della salute e della sicurezza delle persone.

La normativa sulla sicurezza nelle pubbliche amministrazioni. A chi tocca attuare le misure di sicurezza nelle pubbliche amministrazioni tra cui rientrano le scuole? In particolare a chi compete il ruolo del “datore di lavoro” in un complesso in cui il datore di lavoro è, in ultima analisi, lo Stato o, comunque l’ente pubblico e l’attribuzione e la disponibilità delle risorse non trova di norma un referente in una persona fisica? Nel caso delle scuole chi ne doveva rispondere? L’anziano funzionario “ricorda perfettamente” la sensazione di panico e di rifiuto che si diffuse nelle pubbliche amministrazioni all’approssimarsi della scadenza per l’entrata in vigore nei tempi previsti dalle stesse norme. Le riunioni ai vari livelli si succedono; i ricordi si accavallano. Si impone una sintesi La prima misura, classica, fu un rinvio determinato con decreto. Lo stato di necessità ed urgenza erano evidenti. Il rinvio per decreto fu reiterato più volte.. la soluzione giunse nel 1996 con le integrazioni apportate dal decreto n. 242. In quella sede fu stabilito che nelle pubbliche amministrazioni la figura del datore di lavoro si individua nel dirigente o nel funzionario cui spettano i poteri di gestione. Nelle istituzioni scolastiche la figura del datore di lavoro ai fini di cui sopra è identificata nel capo di istituto (ora dirigente scolastico). cui viene formalmente attribuita dal decreto ministeriale 292 del 21 giugno. Nel quadro normativo del d. lgv. 242 definiscono, in particolare, all’art. 4, c. 12, obblighi e responsabilità in materia di sicurezza di locali ed edifici.

“Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli obblighi previsti dal presente decreto, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico”.

Per completezza di informazione, si ricorda che il d. lgv. 242 stabilisce inoltre che siano equiparati ai lavoratori anche gli allievi degli istituti in cui si faccia uso di laboratori, macchine e strumenti di lavoro in genere. All’art. 1 si prevede, infine, un regolamento attuativo che tenga conto delle particolari esigenze delle istituzioni scolastiche. Il regolamento fu emanato con d.m. 382 del 1998. E’ in corso l’adeguamento alle recenti norme in tema di sicurezza della legge 81 del 2008 di cui si è già detto.
Ma torniamo al tema principale. Chi garantisce la sicurezza nelle scuole? Come? Con quali mezzi e strumenti?

Gli adempimenti delle amministrazioni locali. Da un differimento all’atro. La norma, come si è visto, parla chiaro. La messa in sicurezza di locali ed edifici, e le relative responsabilità, ricadono sul datore di lavoro. Nelle istituzioni scolastiche il datore di lavoro – dirigente scolastico, che non dispone degli strumenti e delle risorse per provvedere direttamente, assolve tali obblighi con la richiesta di adempimento all’amministrazione competente per legge alla fornitura e manutenzione dei locali. Le competenze sulla fornitura e la manutenzione degli edifici scolastici fanno istituzionalmente carico agli enti locali. La legge 23 del 1996 ha definito le rispettive competenze: ai comuni la scuola primaria e media di primo grado, alle province; quelle sulla secondaria superiore. Si configura quindi in buona sostanza, un passaggio dell’onere del datore di lavoro, che dovrebbe intendersi personale, all’ente locale senza peraltro che a ciò consegua un passaggio di dirette responsabilità e, meno che mai, delle relative sanzioni. Ad ogni buon conto, a partire dai primi anni di attuazione delle norme sulla sicurezza, il Parlamento ha provveduto, con successivi provvedimenti legislativi, a differire le scadenze per la messa a norma degli edifici scolastici, come puntualmente è stato di recente sottolineato dal responsabile della protezione civile. È anche comprensibile la solidarietà tra i vari soggetti politici a livello nazionale e locale. D’altro canto, e pur senza indulgere ad un qualunquismo di maniera, appare evidente che la materia non è ai primi posti nella scala di priorità degli enti locali, forse perché non lo è neppure per la maggioranza dei cittadini, salvo quando si verificano eventi traumatici. Non si può, per altro verso ignorare che l’operazione nel suo complesso richiederebbe l’impegno di risorse realisticamente non ipotizzabili, meno che mai nell’attuale situazione economica. La macrodimensione del problema è spesso un argomento utile a rinviare anche il poco che sarebbe possibile, giorno per giorno, anno per anno.

Il ruolo delle istituzioni. Sarebbe improprio e presuntuoso pretendere di dare conclusioni per cui il vostro corrispondente non dispone né di elementi né di capacità. Qualche breve cenno finale. Le competenze in materia di edilizia scolastica sono state trasferite alle Regioni fin dalle prime norme di decentramento istituzionale degli anni ’70. Il ruolo dell’amministrazione centrale, presso la quale è stato costituito dal 1996 un osservatorio per l’edilizia scolastica con compiti di promozione, indirizzo e coordinamento, si concreta nella predisposizione dei programmi di finanziamento su somme rese disponibili dalle successive leggi finanziarie e nella loro ripartizione con decreti ministeriali. Interventi per l’edilizia scolastica compaiono tra quelli annunciati nelle ultime misure a sostegno dell’economia. I problemi sembrano quelli dell’entità delle risorse, sempre modeste, della capacità operativa di spesa con strumenti ordinari e non solo con commissari per un’emergenza orami istituzionale, alla consistenza delle opere, quando si fanno, di relativa affidabilità in un regime di appalti al massimo ribasso. Chi ci indica una prospettiva?


Prossimamente: basta con il 6 (o il 18) politico! Chi l’ha visto?

lunedì 1 dicembre 2008

Come ti amministro la scuola. Atto I

È dall’inizio dell’anno scolastico che la scuola è in prima pagina. Di solito, a settembre, la stampa tratta di scuola, per qualche giorno, per lo più nelle pagine di cronaca, su argomenti che da lungo tempo fanno parte del color locale: cattedre non ancora occupate dai titolari, aule in degrado, scuole in autogestione come antidoto al trauma di fine vacanze. Questa volta, invece, è passato settembre, è passato ottobre, se ne parla ancora a novembre...

L’evento è straordinario e straordinario è il motivo: la “Riforma Gelmini”, varata per decreto – e cioè con efficacia immediata anticipando il normale iter parlamentare - e approvata in via definitiva lo scorso 30 ottobre. Di qui le reazioni di insegnanti, alunni, famiglie, le manifestazioni, i cortei, che tutti abbiamo visto. Dalla sua postazione al giardino pubblico, o in alternativa, al bar degli anziani, il vecchio funzionario a riposo sfoglia i giornali e cerca di riordinare le idee, a vicenda conclusa.
Il decreto-legge 1° settembre 208, n. 137, “Disposizioni urgenti in materia di istruzione e di università” è stato infatti convertito in legge (l. 169 del 30 ottobre 2008). “È tornata la serietà” ha dichiarato la titolare del Ministero dopo il voto del Parlamento.

Vediamo di orientarci. Un ritorno alla serietà degli studi persa per via non è cosa di tutti i giorni; è il caso di approfondire. Qui le cose si fanno difficili. Il giudizio sull’evento si confonde tra le diverse letture: se visto da destra, visto da sinistra, visto dal governo, visto dai diretti interessati (insegnanti, studenti, famiglie). Sulle opinioni di destra, di sinistra, degli insegnanti e degli studenti sono corsi, e tuttora scorrono, fiumi di parole e di commenti così competenti e autorevoli da mettere in soggezione. È veramente difficile orientarsi. Meglio risalire alla fonte. L’impostazione data dal governo che nella vicenda è, al tempo stesso, autore e primo attore.
In effetti, l’iniziativa è di diretta emanazione governativa. Il resto – agitazioni di insegnanti e studenti, i successivi interventi e commenti delle parti politiche – è solo di reazione a quel primo impulso. Proviamo a riflettere sui tre aspetti: le motivazioni politiche, la veste giuridico - formale, la effettiva incidenza normativa.

Si torna al buon tempo antico. L’angolazione politica sembra la più rilevante per le motivazioni rappresentate e pubblicizzate al momento del varo della riforma.
Le prime anticipazioni, di parte governativa, fanno riferimento in primis a un ritorno al buon tempo antico ed alla serietà della scuola dopo le stravaganze di una cultura del sessantotto lassista, parolaia e inconcludente. Si ritorna alla valutazione numerica/decimale, netta, precisa, poche storie, sì o no, via quei giudizi tutti chiacchiere e niente sostanza. Si giudica con 2, 3, 4, 6, 8. Soprattutto si cancellano quei quattro numeri nefandi: 1 9 6 8 simbolo di una scuola disastrata, secondo l’autorevolissimo parere del Ministro dell’Economia stranamente in prima linea in materia scolastica. Nell’entusiasmo dei “lanci” iniziali si sarebbe potuto pensare che tutto il sistema scolastico, e non solo la scuola primaria e media inferiore, fosse coinvolto nella grande riforma numerico/decimale. E poi il ripristino della valutazione, sempre numerica, del comportamento, il vecchio e caro “voto in condotta”. Attenzione: con il cinque si perde l’anno. Infine, via il modulo dei tre maestri ogni due classi per la scuola primaria; torna il maestro unico. Un’operazione nostalgia nel nome della cara vecchia maestra della nostra infanzia, una persona che non dimenticheremo mai. Nell’entusiasmo del revival era stato ventilato anche il ritorno al sano grembiulino uguale per tutti i bimbi nella scuola primaria. Un tocco veramente qualificante poi lasciato cadere. Chissà perché, in un testo di legge avrebbe fatto la sua figura.
Reminiscenze. Riflessioni in libertà. Circa il recupero della serietà degli studi dopo le follie sessantottine, il vecchio signore ha qualche problema con la sua memoria in ragione, probabilmente, dell’età. Cominciamo dalla valutazione numerica in decimi. Nella scuola secondaria superiore, campo delle scorribande del ’68. il sistema è rimasto invariato, se si eccettua la reintroduzione della valutazione del comportamento (già voto in condotta) abolito però alla fine degli anni ’90 in tutt’altra epoca. La legge, infatti, nel tornare alla votazione numerico/decimale opera solo per la scuola primaria e per la secondaria di primo grado. Ma la memoria continua a giocargli strani scherzi. Rammenta, infatti, che le valutazioni finora vigenti sono state introdotte al momento dell’istituzione della scuola media statale unica (legge 31 dicembre 1962, n. 1859), in piena era democristiana, riprendendo peraltro il sistema dalla “Riforma Bottai” (legge 1° luglio 1940, n. 899, nell’anno XVIII dell’era fascista). La valutazione in decimi verrà restaurata, a liberazione avvenuta, dal D. L. 7 settembre 1945. Quanto al 3 x 2 nella scuola primaria, se la memoria non tradisce, la riforma dell’ordinamento della scuola elementare è stata attuata con la legge 5 giugno 1990, n. 148, in epoca in cui la pubblica istruzione era saldamente in mani democristiane, come peraltro nel primo cinquantennio della Repubblica, ed elaborata in epoca non sospetta. Il dubbio su un sessantotto che domina i vertici della Pubblica Istruzione in quegli anni sembra quanto meno legittimo.
Il decreto legge. Le motivazioni. La curiosità sull’effettivo contenuto cresce. Diamo un’occhiata al testo a partire dall’aspetto giuridico – formale che non è secondario. Qui la forma è anche sostanza. Nell’ordinamento italiano, come si è già detto, il ricorso al decreto – legge, di efficacia immediata salva la successiva approvazione del Parlamento, è consentito solo per straordinari motivi di necessità ed urgenza. Il provvedimento li elenca puntualmente.
- attivare percorsi di istruzione di insegnamenti relativi alla cultura della legalità ed al rispetto dei principi costituzionali;
- disciplinare le attività connesse alla valutazione complessiva del comportamento degli studenti nell'ambito della comunità scolastica;
- reintrodurre la valutazione con voto numerico del rendimento scolastico degli studenti,
- adeguare la normativa regolamentare all'introduzione dell'insegnante unico nella scuola primaria;
- prolungare i tempi di utilizzazione dei libri di testo adottati,
- ripristinare il valore abilitante dell'esame finale del corso di laurea in scienze della formazione primaria;
- semplificare e razionalizzare le procedure di accesso alle scuole di specializzazione medica.

Obiettivo: contenimento della spesa = tagli. Chi di dovere ha valutato la straordinaria necessità e urgenza. È la varietà dei motivi che resta difficile ridurre ad unità. Colpisce anche la reazione a provvedimenti in apparenza non così significativi, qualificanti e qualificati a rappresentare una riforma di sistema e neppure a spiegare del tutto reazioni così forti. Se però ci si applica un poco di più notiamo al centro dell’elenco quello che appare poco più di un adempimento giuridico-formale “adeguare la normativa regolamentare…..all’introduzione dell’insegnante unico nella scuola primaria”. È questo in effetti l’unica modifica significativa di ordinamento. È anche da qui tuttavia che si risale alla vera matrice del reale complesso normativo che non è nel decreto-legge 137, che di per sé sembrerebbe solo un insieme di norme diverse e assemblate anche con una qualche casualità, bensì in quel richiamo al precedente decreto-legge di ben altro peso convertito nella legge n. 133 del 6 agosto 2008: quelle “disposizioni ungenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.
Che siano qui le effettive ragioni di necessità ed urgenza, il cuore del decreto-legge? Che le proteste abbiano un qualche motivo diverso dal lassismo del ’68? La lettura del testo precisa che l’istituzione dell’insegnante unico della scuola primaria avviene “nell’ambito degli obiettivi di contenimento di cui all’art. 64 del decreto–legge 23 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto n. 2008, n. 133”. L’art. 64 ha una collocazione di una chiarezza cristallina. Si trova all’interno del capo II “contenimento della spesa per il pubblico impiego” ed ha come intestazione “disposizioni in materia di organizzazione scolastica”. Le disposizioni si articolano in una serie di interventi il cui obiettivo finale è chiaramente specificato al comma 6. “economie lorde di spesa non inferiori a 456 milioni di euro per l’anno 2009, a 1650 milioni di euro per l’anno 2010, a 2538 milioni di euro per l’anno 2011 e a 3188 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012”. Sembra che siamo arrivati alla radice del problema: la spesa scolastica va ristretta, di necessità e con urgenza, nella misura già fissata dall’estate nelle norme di finanza pubblica. L’introduzione del maestro unico è un elemento portante della manovra fra gli altri già individuati nello stesso art. 64 e per i quali l’Amministrazione sta già predisponendo i provvedimenti, ad esempio la riduzione delle ore di insegnamento nella scuola secondaria.

Arrivederci alla prossima. Il provvedimento approvato dal Parlamento non si esaurisce nel ritorno al maestro unico. Anche altri aspetti della legge meritano attenzione per quanto di secondo piano rispetto al motivo finanziario che, come si è visto, è dominante. Per oggi l’impegno è però già abbastanza per una mente fuori esercizio e per la comprensione degli assai ipotetici lettori. E, quindi, per oggi basta così.. Un po’ di riposo prima di riprendere la lettura è indispensabile. Il seguito alla prossima puntata.

mercoledì 29 ottobre 2008

Come si fa ad insegnare in Inghilterra??

Da quando è iniziata la mia avventura di prof. nel paese del te' & della guida a sinistra, parecchie persone mi hanno chiesto informazioni su 'come si fa' dall'Italia o da altro paese Europeo a insegnare in Inghilterra. Prego provvedersi di una o più pinte di birra perchè la spiegazione sarà lunga ma spero esauriente...

1. Ce l'hai un'abilitazione all'insegnamento????
Se la risposta è SI devi semplicemente fare domanda al General Teaching Council perchè ti riconosca l'abilitazione Inglese, che si chiama QTS (Qualified Teacher Status). Se sei cittadino di un Paese dell'Unione Europea il riconoscimento è un atto dovuto che (mi dicono) si può risolvere in poche settimane. Poi si tratterà di cercare lavoro in una scuola. Su questo puoi trovare istruzioni al punto... in fondo al post
Se la risposta è NO vai avanti e cerca di non spaventarti: ci si diverte (anche!)

2. Ce l'hai una laurea che dia accesso a una o più materie insegnate in Inghilterra???
Se hai una laurea o titolo equivalente in una qualunque delle Scienze Naturali, o in Matematica, o in Storia, o in Musica, Teatro, Educazione Fisica, Lingua straniera diversa dall'Inglese... (elenco NON esauriente) la risposta è sicuramente sì. Tieni conto che in Inghilterra basta la laurea triennale per accedere all'insegnamento
Se hai una laurea o titolo equivalente in altri campi e non sei sicuro se essi corrispondano ad una materia curriculare in Inghilterra, la cosa migliore è rivolgersi alla Training and Development Agency (http://www.tda.gov.uk/). Normalmente, quando fai domanda per un corso abilitante in Inghilterra, ti si chiede di dimostrare che almeno metà del tuo curriculum di studi è correlato alle materie che vuoi insegnare, quindi dipenderà dal tuo particolare piano di studi quello che puoi o non puoi insegnare. La TDA fornisce anche corsi integrativi per studiare quello che ti manca nel piano di studi e così accedere a più materie.
In ogni caso c'è grande flessibilità! Dimentica le classi di concorso italiane. Qui c'è un gran bisogno di prof. purchessia e anche se qualcuno ti dice di no è possibile che qualcun altro ti dica di sì. Per esempio, laureati in Psicologia possono spesso insegnare Scienze. Laureati in Giurisprudenza o in Lettere possono finire a fare Humanities (Storia e Geografia) o Studi Religiosi, o Educazione alla Cittadinanza. Poi, se non sei terrorizzato dal potenziale distruttivo dei bambini (the evil dwarfs!!) c'e' l'opzione scuola primaria per la quale basta una QUALUNQUE laurea triennale.

3. Come ti vuoi abilitare?
Per poter insegnare in Inghilterra bisogna seguire un percorso di Initial Teacher Training che, se completato con successo, ti darà accesso all'abilitazione (QTS). Sempre sul sito della TDA troverai una descrizione esauriente dei percorsi oggi a disposizione per i laureati (o titolo equivalente) che vogliono insegnare. Essi sono essenzialmente tre:


  • il PGCE (Post Graduate Certificate in Education), corso universitario di un anno che comprende lezioni universitarie, studio indipendente e MOLTO tirocinio a scuola (due terzi della durata del corso). Io ho seguito questa strada. Ce ne sono sia per la scuola secondaria (divisi per materie) sia per la scuola primaria.
  • Il GTP (Graduate Teacher Programme) che si basa su una formazione 'in servizio'. In pratica, la scuola ti assume anche se non sei abilitato e tu (autonomamente o con l'aiuto della scuola stessa) trovi un provider (un'università, una circoscrizione, un'altra scuola specializzata in Teacher Training) presso il quale seguire un corso di formazione parallelamente al tuo lavoro. La scuola ti paga meno di un insegnante abilitato ma si impegna a darti i giorni di training che ti servono (per esempio a lasciarti libero tutti i lunedì se quel giorno hai il corso). Bada: non tutte le scuole ti offrono questa possibilità, ma tante lo fanno, soprattutto nelle grandi città. In ogni caso è a loro discrezione se offrirla e se offrirla a te.
  • il programma TeachFirst che è una formazione 'sul campo' come il GTP ma ha alcune differenze. Intanto è organizzato da un'Università che ti fornisce un training iniziale di sei settimane d'estate e ti procura lei stessa la scuola dove lavorare. Poi dura due anni invece che uno. Infine, anche se ti dà comunque l'abilitazione, è focalizzato su competenze che possano essere spese anche nel Business e nel Managment. Su questo programma c'è un sito dedicato: http://www.teachfirst.org.uk/

4. Non riesci a scegliere quale percorso seguire? Senza pretesa di essere esauriente, ti do una lista vantaggi/svantaggi su ciascun corso:

  • PGCE. Vantaggi: un'esperienza più profonda di studio e riflessione in ambito educativo e pedagogico, la possibilità di condividere idee e risorse con molti altri 'apprendisti prof.', la possibilità di fare per un ultimo anno la vita dello studente (festini inclusi!). In più, specie venendo da fuori, puoi avere un approccio più graduale al sistema scolastico Inglese e alle difficoltà di insegnare in un'altra lingua. Svantaggi: non ricevi uno stipendio ma una borsa di studio che varia da materia a materia, di anno in anno. Quella per Scienze l'anno scorso mi consentiva di mantenermi, ma ti consiglio di controllare sul sito della TDA quali sono le condizioni. Altro svantaggio: il tirocinio dipende molto dallo stile e dalle aspettative della scuola che ti ospita.
  • GTP. Vantaggi: sei pagato e trattato da subito come un adulto ed un professionista. In più ti viene data una formazione quasi esclusivamente pratica, che a molti piace (non a me, questione di gusti). Svantaggi: ti buttano in acqua e ti dicono: nuota! Il che, se vieni da un altro background culturale, può essere un bel casino...
  • TeachFirst. Vantaggi: gli stessi del GTP aggiungendoci un po' di training iniziale e una maggiore struttura organizzata alle spalle. In più hai tutto l'aspetto di formazione manageriale e alla leadership che può essere interessante. Svantaggi: non puoi scegliere la scuola dove starai per due anni perchè ti ci mandano loro. Devi improvvisarti un po', come nel GTP, senza la possibilità di un vero tirocinio.
  • Se vuoi saperne di più sul PGCE continua a leggere, se pensi al TeachFirst vai sul sito dedicato, se vuoi buttarti in un GTP salta al punto 6 perchè dovrai innanzitutto cercare una scuola che ti assuma. In alternativa, puoi anche se sul sito della TDA o sui siti delle varie Local Authorities Inglesi ci sono notizie e offerte di GTP.

5. Per scegliere il PGCE...

Le domande si fanno tramite il sito http://www.gttr.ac.uk/ Il processo di ammissione comprende una domanda online e un colloquio in sede. Ti viene richiesto di indicare quattro sedi in ordine di priorità. Per decidere quali, i miei criteri sono stati:

  • minimizzare i problemi di requisiti d'ingresso e gli altri problemi burocratici. Per esempio, devi avere un titolo equivalente al GCSE in Inglese. Io ho scelto solo università che offrivano un test di Inglese equivalente lo stesso giorno del colloquio.
  • capire quale approccio ti piace di più. I siti internet dei vari corsi possono essere utili per farti un'idea, ma la cosa migliore è parlare con i coordinatori, magari andando lì o telefonando.

6. Come si trova lavoro in una scuola?

Dimentica le graduatorie: quando ne parlo in Inghilterra mi guardano con un misto di orrore e incredulità. Su quest'isola si viene assunti in una scuola attraverso un colloquio di lavoro. Questo comporta, senz'altro, una certa discrezionalità da parte della scuola. Ma garantisce almeno due vantaggi (per me) inestimabili. Il primo è che puoi 'vendere' le tue caratteristiche, i tuoi punti di forza, il tuo entusiasmo, i tuoi valori anche quando essi non sono quantificabili in un punteggio. Il secondo è che (complice la scarsità di prof. in questo Paese) puoi scegliere in che tipo di scuola andare, in quale area, etc.

Per trovare lavoro da insegnante, i passaggi sono i seguenti:

  • consulto regolarmente le offerte di lavoro. Ogni scuola pubblica o privata pubblicizza i posti vacanti tramite Internet e giornali. Il sito più completo è quello del supplemento scuola del Times (http://www.tes.co.uk/), ma ce ne sono anche altri tipo http://www.fejobs.co.uk/ o http://www.axcis.co.uk/.
  • Trovata un'offerta interessante raccolgo informazioni su quel posto tramite il sito della scuola o altre fonti (l'OFSTED, ufficio ispettivo Inglese, pubblica regolarmente un report su ogni scuola del Regno: non è infallibile ma un'occhiata non fa male)
  • Se il posto mi piace davvero, inoltro il mio curriculum. Di solito devo mandare una mail in segreteria e loro mi inviano una form da compilare elettronicamente o manualmente. Questa form include sempre un personal statement o una lettera di presentazione in cui devo spiegare perchè sono interessato a quel posto e perchè mi considero adatto ad esso. Posso avere un canovaccio di questa lettera, ma dovrò rivederla o adattarla per ogni singola scuola.
  • Se il mio curriculum convince la scuola, mi inviteranno per un colloquio. Al colloquio saranno presenti 4 - 5 candidati. Normalmente mi chiederanno di insegnare una lezione o una mezza lezione che verrà osservata e valutata. Poi avrò modo di fare un giro informale della scuola parlando con studenti e colleghi. Infine ci sarà il colloquio formale, tipicamente con il preside, il capo dipartimento della mia materia e altre 1 - 2 persone. Se durante questo colloquio confermo che sono ancora fermamente candidato, poi NON POSSO TIRARMI INDIETRO. Quindi è importante dire di sì solo quando sono veramente convinto. L'esito del colloquio arriverà in tempi molto brevi (spesso il giorno stesso).

7. Che altro?

Logicamente ci sono un sacco di particolari che ho omesso e che non è difficile scoprire da voi strada facendo. Un ultimo consiglio se volete lavorare in UK da insegnanti è cercare di farvi un'idea chiara del sistema scolastico, che è diverso dal nostro sotto molti aspetti. Dopo una prima ricerca su internet, il modo migliore è prendersi qualche giorno, andare in ostello a Londra e chiedere a qualche scuola di passare lì un giorno o due in osservazione. Se mandi la stessa mail a una quindicina di scuole di solito 3 - 4 ti dicono che sei il benvenuto. Io quando l'ho fatto stavo anche progettando di seguire un PGCE, quindi nello stesso periodo (una settimana scarsa) ho anche fatto una chiaccherata informale con la coordinatrice del corso per cui volevo fare domanda.

GOOD LUCK!

martedì 7 ottobre 2008

WELCOME EVERYBODY!

The pub after school is a cosy place to chill down for some time during the adventure of being (or becoming) a teacher. You can just mess around with your friends or you can discuss any issue related to that amazing/horrid place that is our school: personal feelings and experiences, resources and strategies, institutional frameworks, etc. This pub is just a larger one, so that anyone who wants from the whole Europe may spend some time with other people trying, somewhere, to make a difference in young people lives... and maybe we can, who knows?

Il pub sotto scuola è il posto dove rilassarsi un momento durante l'avventura di essere (o diventare) insegnante. Si può semplicemente dire idiozie fra amici o discutere su qualsiasi faccenda legata a quel posto meraviglioso & orrifico che è la nostra scuola: esperienze personali, risorse e strategie, cornici istituzionali, etc. Questo pub è semplicemente un po' più spazioso, in modo the chiunque voglia, da tutta Europa, possa spendere un po' di tempo con altre persone che cercano, da qualche parte, di fare la differenza nella vita dei ragazzi... e magari ci si riesce, chissà?

Read more!