È dall’inizio dell’anno scolastico che la scuola è in prima pagina. Di solito, a settembre, la stampa tratta di scuola, per qualche giorno, per lo più nelle pagine di cronaca, su argomenti che da lungo tempo fanno parte del color locale: cattedre non ancora occupate dai titolari, aule in degrado, scuole in autogestione come antidoto al trauma di fine vacanze. Questa volta, invece, è passato settembre, è passato ottobre, se ne parla ancora a novembre...
L’evento è straordinario e straordinario è il motivo: la “Riforma Gelmini”, varata per decreto – e cioè con efficacia immediata anticipando il normale iter parlamentare - e approvata in via definitiva lo scorso 30 ottobre. Di qui le reazioni di insegnanti, alunni, famiglie, le manifestazioni, i cortei, che tutti abbiamo visto. Dalla sua postazione al giardino pubblico, o in alternativa, al bar degli anziani, il vecchio funzionario a riposo sfoglia i giornali e cerca di riordinare le idee, a vicenda conclusa.
Il decreto-legge 1° settembre 208, n. 137, “Disposizioni urgenti in materia di istruzione e di università” è stato infatti convertito in legge (l. 169 del 30 ottobre 2008). “È tornata la serietà” ha dichiarato la titolare del Ministero dopo il voto del Parlamento.
Vediamo di orientarci. Un ritorno alla serietà degli studi persa per via non è cosa di tutti i giorni; è il caso di approfondire. Qui le cose si fanno difficili. Il giudizio sull’evento si confonde tra le diverse letture: se visto da destra, visto da sinistra, visto dal governo, visto dai diretti interessati (insegnanti, studenti, famiglie). Sulle opinioni di destra, di sinistra, degli insegnanti e degli studenti sono corsi, e tuttora scorrono, fiumi di parole e di commenti così competenti e autorevoli da mettere in soggezione. È veramente difficile orientarsi. Meglio risalire alla fonte. L’impostazione data dal governo che nella vicenda è, al tempo stesso, autore e primo attore.
In effetti, l’iniziativa è di diretta emanazione governativa. Il resto – agitazioni di insegnanti e studenti, i successivi interventi e commenti delle parti politiche – è solo di reazione a quel primo impulso. Proviamo a riflettere sui tre aspetti: le motivazioni politiche, la veste giuridico - formale, la effettiva incidenza normativa.
Si torna al buon tempo antico. L’angolazione politica sembra la più rilevante per le motivazioni rappresentate e pubblicizzate al momento del varo della riforma.
Le prime anticipazioni, di parte governativa, fanno riferimento in primis a un ritorno al buon tempo antico ed alla serietà della scuola dopo le stravaganze di una cultura del sessantotto lassista, parolaia e inconcludente. Si ritorna alla valutazione numerica/decimale, netta, precisa, poche storie, sì o no, via quei giudizi tutti chiacchiere e niente sostanza. Si giudica con 2, 3, 4, 6, 8. Soprattutto si cancellano quei quattro numeri nefandi: 1 9 6 8 simbolo di una scuola disastrata, secondo l’autorevolissimo parere del Ministro dell’Economia stranamente in prima linea in materia scolastica. Nell’entusiasmo dei “lanci” iniziali si sarebbe potuto pensare che tutto il sistema scolastico, e non solo la scuola primaria e media inferiore, fosse coinvolto nella grande riforma numerico/decimale. E poi il ripristino della valutazione, sempre numerica, del comportamento, il vecchio e caro “voto in condotta”. Attenzione: con il cinque si perde l’anno. Infine, via il modulo dei tre maestri ogni due classi per la scuola primaria; torna il maestro unico. Un’operazione nostalgia nel nome della cara vecchia maestra della nostra infanzia, una persona che non dimenticheremo mai. Nell’entusiasmo del revival era stato ventilato anche il ritorno al sano grembiulino uguale per tutti i bimbi nella scuola primaria. Un tocco veramente qualificante poi lasciato cadere. Chissà perché, in un testo di legge avrebbe fatto la sua figura.
Reminiscenze. Riflessioni in libertà. Circa il recupero della serietà degli studi dopo le follie sessantottine, il vecchio signore ha qualche problema con la sua memoria in ragione, probabilmente, dell’età. Cominciamo dalla valutazione numerica in decimi. Nella scuola secondaria superiore, campo delle scorribande del ’68. il sistema è rimasto invariato, se si eccettua la reintroduzione della valutazione del comportamento (già voto in condotta) abolito però alla fine degli anni ’90 in tutt’altra epoca. La legge, infatti, nel tornare alla votazione numerico/decimale opera solo per la scuola primaria e per la secondaria di primo grado. Ma la memoria continua a giocargli strani scherzi. Rammenta, infatti, che le valutazioni finora vigenti sono state introdotte al momento dell’istituzione della scuola media statale unica (legge 31 dicembre 1962, n. 1859), in piena era democristiana, riprendendo peraltro il sistema dalla “Riforma Bottai” (legge 1° luglio 1940, n. 899, nell’anno XVIII dell’era fascista). La valutazione in decimi verrà restaurata, a liberazione avvenuta, dal D. L. 7 settembre 1945. Quanto al 3 x 2 nella scuola primaria, se la memoria non tradisce, la riforma dell’ordinamento della scuola elementare è stata attuata con la legge 5 giugno 1990, n. 148, in epoca in cui la pubblica istruzione era saldamente in mani democristiane, come peraltro nel primo cinquantennio della Repubblica, ed elaborata in epoca non sospetta. Il dubbio su un sessantotto che domina i vertici della Pubblica Istruzione in quegli anni sembra quanto meno legittimo.
Il decreto legge. Le motivazioni. La curiosità sull’effettivo contenuto cresce. Diamo un’occhiata al testo a partire dall’aspetto giuridico – formale che non è secondario. Qui la forma è anche sostanza. Nell’ordinamento italiano, come si è già detto, il ricorso al decreto – legge, di efficacia immediata salva la successiva approvazione del Parlamento, è consentito solo per straordinari motivi di necessità ed urgenza. Il provvedimento li elenca puntualmente.
- attivare percorsi di istruzione di insegnamenti relativi alla cultura della legalità ed al rispetto dei principi costituzionali;
- disciplinare le attività connesse alla valutazione complessiva del comportamento degli studenti nell'ambito della comunità scolastica;
- reintrodurre la valutazione con voto numerico del rendimento scolastico degli studenti,
- adeguare la normativa regolamentare all'introduzione dell'insegnante unico nella scuola primaria;
- prolungare i tempi di utilizzazione dei libri di testo adottati,
- ripristinare il valore abilitante dell'esame finale del corso di laurea in scienze della formazione primaria;
- semplificare e razionalizzare le procedure di accesso alle scuole di specializzazione medica.
Obiettivo: contenimento della spesa = tagli. Chi di dovere ha valutato la straordinaria necessità e urgenza. È la varietà dei motivi che resta difficile ridurre ad unità. Colpisce anche la reazione a provvedimenti in apparenza non così significativi, qualificanti e qualificati a rappresentare una riforma di sistema e neppure a spiegare del tutto reazioni così forti. Se però ci si applica un poco di più notiamo al centro dell’elenco quello che appare poco più di un adempimento giuridico-formale “adeguare la normativa regolamentare…..all’introduzione dell’insegnante unico nella scuola primaria”. È questo in effetti l’unica modifica significativa di ordinamento. È anche da qui tuttavia che si risale alla vera matrice del reale complesso normativo che non è nel decreto-legge 137, che di per sé sembrerebbe solo un insieme di norme diverse e assemblate anche con una qualche casualità, bensì in quel richiamo al precedente decreto-legge di ben altro peso convertito nella legge n. 133 del 6 agosto 2008: quelle “disposizioni ungenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.
Che siano qui le effettive ragioni di necessità ed urgenza, il cuore del decreto-legge? Che le proteste abbiano un qualche motivo diverso dal lassismo del ’68? La lettura del testo precisa che l’istituzione dell’insegnante unico della scuola primaria avviene “nell’ambito degli obiettivi di contenimento di cui all’art. 64 del decreto–legge 23 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto n. 2008, n. 133”. L’art. 64 ha una collocazione di una chiarezza cristallina. Si trova all’interno del capo II “contenimento della spesa per il pubblico impiego” ed ha come intestazione “disposizioni in materia di organizzazione scolastica”. Le disposizioni si articolano in una serie di interventi il cui obiettivo finale è chiaramente specificato al comma 6. “economie lorde di spesa non inferiori a 456 milioni di euro per l’anno 2009, a 1650 milioni di euro per l’anno 2010, a 2538 milioni di euro per l’anno 2011 e a 3188 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012”. Sembra che siamo arrivati alla radice del problema: la spesa scolastica va ristretta, di necessità e con urgenza, nella misura già fissata dall’estate nelle norme di finanza pubblica. L’introduzione del maestro unico è un elemento portante della manovra fra gli altri già individuati nello stesso art. 64 e per i quali l’Amministrazione sta già predisponendo i provvedimenti, ad esempio la riduzione delle ore di insegnamento nella scuola secondaria.
Arrivederci alla prossima. Il provvedimento approvato dal Parlamento non si esaurisce nel ritorno al maestro unico. Anche altri aspetti della legge meritano attenzione per quanto di secondo piano rispetto al motivo finanziario che, come si è visto, è dominante. Per oggi l’impegno è però già abbastanza per una mente fuori esercizio e per la comprensione degli assai ipotetici lettori. E, quindi, per oggi basta così.. Un po’ di riposo prima di riprendere la lettura è indispensabile. Il seguito alla prossima puntata.
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